La casa come primo luogo di cura: reti di prossimità e telemedicina
Il processo di territorializzazione delle cure viene da anni invocato nel nostro paese, ma è ancora poco attuato. La capacità di dare risposte ‘vicine’ e personalizzate a chi è bisognoso di cure risponde sia alle aspettative dei pazienti che alle indicazioni della Missione 6 del PNRR. Ecco i principali nodi ancora da sciogliere
8 Febbraio 2023
Ketty Vaccaro
Responsabile Area salute e welfare, Censis
Questo articolo è tratto dal capitolo “Sanità pubblica” dell’Annual Report di FPA presentato il 27 gennaio 2023. Per leggere tutti gli approfondimenti scarica la pubblicazione
La lezione della pandemia potrebbe davvero imporre una accelerazione al processo di territorializzazione delle cure da anni invocato, ma ancora poco attuato, soprattutto con riferimento all’opzione strategica di rendere la casa del paziente un luogo centrale dell’assistenza. Già nel Patto per la Salute 2019-2021 (approvato in Conferenza Stato-Regioni il 18 dicembre 2019), per citare un provvedimento recente, era indicato l’obiettivo dello sviluppo dei servizi territoriali, che prevedeva non solo la valorizzazione del ruolo dei medici di medicina generale o l’incremento dell’assistenza domiciliare, ma richiamava anche l’importanza della diffusione delle tecnologie per la cura e il monitoraggio, soprattutto nella presa in carico della cronicità, presso il domicilio del paziente.
Dalle difficoltà di molte regioni nel gestire i pazienti Covid che non necessitavano di ospedalizzazione sono emersi in modo drammatico gli effetti del ritardo nella realizzazione di questi obiettivi. Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), introdotte dal decreto-legge n. 14 del 9 marzo 2020 hanno rappresentato una risposta emergenziale che, al di là delle differenze ancora una volta emerse tra le varie regioni nella capacità di attivazione, così come nella funzionalità di questi servizi, ha comunque ribadito l’importanza della capacità di dare risposte ‘vicine’ e personalizzate a chi è bisognoso di cure.
E vale la pena di ricordare che in questa direzione confluiscono sia le aspettative dei pazienti che le indicazioni della Missione 6 del PNRR, che sottolineano la necessità di puntare sul potenziamento dell’assistenza di prossimità. Tra le aspettative di cambiamento nel breve periodo del SSN, il 45% degli italiani indica proprio il potenziamento dei servizi territoriali e crede nel valore delle Case di comunità previste dal PNRR. Centrali nel modello di innovazione della rete di assistenza sul territorio sono infatti le 1.350 Case di comunità programmate, ma anche le Centrali Operative Territoriali, insieme all’idea portante di una maggiore integrazione con il sociale.
L’aspetto su cui le nuove o rinnovate strutture territoriali dovrebbero puntare è quello di essere un luogo di partecipazione diretta di coloro che su quel territorio vivono e di rappresentare un punto di riferimento reale per la popolazione, dove si punti sulla prevenzione, anche estesa ad ambiti non sanitari, si innovi l’approccio delle cure primarie, si adotti un approccio multidisciplinare, si lavori sull’accessibilità dei servizi in collegamento con l’ospedale, anche per evitare ospedalizzazioni improprie e creando le condizioni essenziali perché la casa sia il primo luogo di cura. I passi di implementazione, come la sottoscrizione tra ciascuna Regione e il Ministero della salute di un contratto istituzionale di sviluppo corredato da un Piano operativo regionale, sottolineano infatti l’importanza delle Case di comunità ma anche l’obiettivo richiamato della casa come primo luogo di cura e individuano nella telemedicina uno strumento importante per raggiungerlo. Nella stessa direzione vanno il Decreto Ministeriale n. 77 del 2022, che delinea il nuovo modello organizzativo dell’assistenza territoriale così come le linee guida del Modello digitale per l’attuazione e il potenziamento dell’assistenza domiciliare (decreto-legge 29 aprile 2022).
La direzione indicata è chiara e sembra aver fatto tesoro dell’esperienza della pandemia. Il Distretto sanitario si configura come il centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi delle ASL in cui si dovrebbe dare attuazione all’integrazione socio-sanitaria e nel cui ambito opera la Casa della comunità, punto centrale della nuova rete, in cui è garantita ai cittadini un’assistenza continuativa (ogni giorno h24). È inoltre importante sottolineare il ruolo attribuito ad una rete articolata, in cui operano servizi potenziati e nuovi servizi. Si pensi all’Ospedale di Comunità, che ha il compito di facilitare la transizione dei pazienti dalle strutture ospedaliere per acuti al loro domicilio e alle Unità di Continuità Assistenziale (UCA) le quali, anche dopo la pandemia, sono chiamate a garantire il supporto alla presa in carico delle situazioni più complesse a domicilio, grazie a un’equipe mobile composta da almeno un medico e un infermiere.
Naturalmente, in questo percorso di sviluppo delle cure al domicilio del paziente, è essenziale il potenziamento dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che entro il 2026 dovrà raggiungere il 10% degli over 65, così come l’apporto di nuove figure fondamentali per garantire la continuità assistenziale, il coordinamento delle cure e l’integrazione con il sociale, come l’infermiere di famiglia o comunità.
Si tratta di un percorso complesso in cui viene sottolineato anche il valore strategico dell’erogazione di servizi e prestazioni sanitarie a distanza attraverso l’uso di dispositivi digitali. L’obiettivo dichiarato è il potenziamento e la messa a regime delle diffuse sperimentazioni di telemedicina, pensata come un tassello importante di questo modello di cure coordinate, personalizzate e vicine al paziente. In particolare, è prevista l’implementazione di diversi servizi di telemedicina nel setting domiciliare, attraverso i quali erogare prestazioni anche a distanza mediante team multi-professionali.
Si tratta di un aspetto importante ai fini del potenziamento reale della domiciliarizzazione. Dal punto di vista dei cittadini i tempi appaiono ormai maturi. I dati di un recente rapporto del Censis mettono in evidenza un effetto “collaterale” degli anni della pandemia: gli italiani hanno sperimentato un ampliamento del rapporto con le nuove tecnologie e hanno aderito in grande misura alle attività a distanza. I comportamenti digitali si fanno sempre più abituali, sia nella sfera privata che nel lavoro e il 70,4% degli italiani ritiene che la digitalizzazione abbia migliorato la loro qualità della vita, grazie alla semplificazione di tante attività quotidiane. Anche nei rapporti con i servizi pubblici si è assistito a un potenziamento dell’utilizzo di strumenti digitali. I dati AgID mostrano che dal 2020 al 2021 le identità SPID rilasciate alla popolazione sono più che raddoppiate (erano 15,5 milioni a dicembre 2021 e sono diventate 27,2 milioni nello stesso mese del 2022, fino agli attuali – ottobre 2022 – 32,8 milioni).
Più complesso il percorso di messa a regime del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). Tutte le regioni hanno attuato il FSE e si susseguono i passi per garantire l’interoperabilità tra i sistemi regionali di FSE. Tuttavia, i dati di utilizzo sono ancora molto differenziati e nel monitoraggio AgID in alcune regioni l’utilizzo, ad esempio da parte dei medici, non viene rilevato.
In merito alla telemedicina, gli ultimi dati del Ministero della salute, che risalgono al 2018, segnalano 282 esperienze di telemedicina attive sul territorio nazionale, di cui poco meno del 40% erano progetti pilota o sperimentali. Si tratta di esperienze di teleconsulto nel 29% dei casi, nel 23% di telerefertazione e nel 22% di telemonitoraggio. L’ambito specialistico prevalente (43% delle esperienze) è la cardiologia e nel 55% la tipologia di pazienti sono cronici. Anche in questo caso è molto probabile che l’esperienza della pandemia abbia avuto un effetto moltiplicatore: ad esempio, i dati di uno studio Censis relativo alla condizione dei pazienti con diabete riportano che il 69% dei Centri di diabetologia dell’area metropolitana di Milano durante il lockdown ha attivato visite di controllo online. Si tratta di uscire dalle esperienze, spesso molto ricche, di tipo sperimentale o estemporaneo per garantire strutturazione stabile a queste attività, proprio alla luce dell’importanza attribuita allo sviluppo della telemedicina come strumento del potenziamento della medicina del territorio.
Certo, rimangono molti nodi da sciogliere, prima di tutto la questione poco affrontata delle grandi differenze di partenza nell’offerta e nel funzionamento della sanità nelle varie regioni italiane, che avrebbe bisogno di azioni mirate per garantire finalmente l’attuazione dell’equità dell’accesso alle cure a tutti cittadini.
Altro nodo strategico è quello del fabbisogno di personale, oggi carente anche a causa delle politiche di riduzione dei costi sanitari che, negli anni, a causa del blocco del turnover, hanno portato ad una riduzione e ad una senilizzazione del personale medico ed infermieristico del SSN. Al momento, l’età media dei medici è di 51,3 anni e quella degli infermieri è di 47,3 anni, con quote importanti prossime al pensionamento che fanno intravedere un ulteriore scenario di riduzione della disponibilità di personale all’interno del sistema sanitario pubblico.
Ma non si tratta solo delle pur necessarie politiche di potenziamento e stabilizzazione del personale, ma anche dell’impegno nella formazione, soprattutto quella mirata sull’aspetto della digitalizzazione e non solo, che rappresenta una condizione indispensabile per dare concretezza ed efficacia agli investimenti strutturali e per cambiare in una chiave innovativa, non più procrastinabile, l’assetto del sistema delle cure nel nostro paese.