L’innovazione in Sanità: cambio di rotta grazie alla riforma costituzionale
Innovazione e riforma costituzionale: ecco la posta in gioco e come potrebbe cambiare il Servizio Sanitario Nazionale, fra spinte neocentraliste e ritorni di fiamma federalisti
17 Settembre 2016
Valentina Mantua, Agenzia Italiana del Farmaco
In questi giorni il Governo deciderà l’ammontare
del prossimo finanziamento al Fondo Sanitario Nazionale (FSN), eppure, pur
accettando l’evidente significato politico che comunica questa scelta, chi si
occupa di sanità sa bene aumentare le risorse per la spesa sanitaria ha senso
solo se si migliora la salute dei cittadini. I sistemi sanitari del ventunesimo secolo, si
trovano ad affrontare importantissime sfide di sostenibilità che ne stanno già
minacciando l’universalismo e la stessa sopravvivenza. Se da un lato l’aumento
della vita media e il peso delle cronicità, dei tumori, delle malattie
neurodegenerative, rappresenta un peso in termini assistenziali; dall’altro,
l’innovazione nel campo biomedico, farmacologico, diagnostico e in termini ampi
del digitale applicato alla medicina, offre importantissime opportunità.
Tuttavia, affinché l’innovazione sia recepita nei
sistemi sanitari, sia sostenibile nei costi e accessibile a tutti i pazienti, è
necessaria un’uniformità di processi che al momento non abbiamo.
Con la riforma del Titolo V introdotta dal Governo
Amato nel 2001, le Regioni hanno di fatto acquisito autonomia di disciplinare
la tutela della salute sul proprio territorio. Dopo 15 anni si sono costituiti
di fatto 21 diversi sottosistemi sanitari regionali, i LEA risultano
frammentati e la burocrazia in eccesso assorbe risorse necessarie per ridare
slancio agli investimenti e promuovere l’innovazione. Il caso della Farmaceutica, della quale mi occupo,
è particolarmente significativo, sia per i sub livelli decisionali (prontuari
regionali e aziendali) in cui si articola il procedimento di recepimento –
successivo alle autorizzazioni a livello europeo (EMA) e nazionale (AIFA) – sia
per l’incerto quadro regolatorio sui fronti dell’ammissione al rimborso,
ricerca, riconoscimento dell’innovazione.
L’approvazione del farmaco per l’epatite C ha
trovato impreparati molti sistemi sanitari europei e non solo, ma in Italia ha
evidenziato come l’irregolarità dei processi si traduca ineluttabilmente in un
sistema che non garantisce più l’universalismo per il quale è stato creato.
Un reale cambio di rotta può̀ essere possibile
solo se si va verso un modello nuovo di centralizzazione di alcune competenze.
L’attuale proposta di Riforma Costituzionale prevede
la modifica dell’articolo 117, che disciplina il riparto di competenze tra
Stato e Regioni, definendo i rispettivi ambiti di potestà legislativa. Viene
eliminata la cosiddetta “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni e si
ristabilisce un primato statale nelle decisioni di politica sanitaria ponendo
fine alla dispendiosa sequenza di ricorsi e contenziosi.
Con la nuova scrittura dell’articolo spetta allo
Stato non solo la “determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ma anche le “disposizioni generali e comuni per la tutela
della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”. È
poi previsto che alle Regioni resti “la
potestà legislativa in materia di programmazione e organizzazione dei servizi
sanitari e sociali“.
La Riforma prevede anche la cosiddetta “clausola
di supremazia”, per la quale “su proposta
del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla
legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o
economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
L’attuale proposta di Riforma Costituzionale getta senza
dubbio le basi per una possibile ridefinizione del bilanciamento delle competenze
tra Stato e Regioni proprio grazie al maggior ruolo che Governo e Parlamento
sono chiamati ad assumere nelle grandi decisioni di indirizzo e politica
sanitaria.
Dall’altro lato, è anche necessario evitare che
l’inconcludenza delle riforme federaliste degli ultimi 15 anni produca, adesso,
un reflusso centralista che sarebbe altrettanto sbagliato. Continua a rimanere
valido e importante l’obiettivo di dare flessibilità̀ alle Regioni
nell’adattare i percorsi terapeutici e socio-sanitari alle competenze e ai fabbisogni
del territorio, ma questo non può̀ che svolgersi all’interno di una
programmazione coordinata a livello nazionale e nel rispettoso vincolo delle
risorse.