Patto per la Sanità Digitale, bello ma squattrinato. Polimi: “Le quattro azioni necessarie dopo il Patto”

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L’approvazione del Patto per la Sanità digitale consente di puntare sul digitale per mettere il Sistema Sanitario di restare sostenibile e fronteggiare sfide epocali. Un passo avanti significativo a cui deve seguire lo sviluppo di piani sfidanti e coerenti

10 Luglio 2016

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Mariano Corso, Chiara Sgarbossa e Marco Paparella, Osservatorio Innovazione in Sanità, Politecnico di Milano

Sono passati due anni dalla prima presentazione del Patto sulla Sanità digitale, finalmente la sua approvazione in Conferenza Stato Regioni sancisce l’accordo tra stato e Regioni sul puntare sul digitale per mettere il Sistema Sanitario in condizione di restare sostenibile e fronteggiare sfide epocali come la sostenibilità, la crescita di incidenza della cronicità e l’impatto della globalizzazione.

Si tratta di un passo avanti significativo che indica una rinnovata consapevolezza politica a cui deve seguire però lo sviluppo di piani sfidanti e coerenti che vadano declinare in ciascuna Regione gli obiettivi del patto in iniziative concrete di rinnovamento organizzativo e tecnologico che, tenendo conto delle peculiarità del territorio e dei punti di partenza, consentano di andare verso modelli sanitari più sostenibili e omogenei superando la patologica frammentazione del, o per meglio dire “dei” sistemi sanitario italiani. Troppi anni sono già stati persi nell’attesa che riforme coraggiose invertissero quel circolo vizioso che ha visto susseguirsi tagli lineari che, mortificando ogni strategia di innovazione, hanno reso il sistema sempre più obsoleto.

Il punto debole del documento è la pretesa che questo sforzo posso essere fatto in assenza di risorse dedicate, ma semplicemente spendendo meglio quelle esistenti o reinvestendo nel tempo i risparmi. Nessuno nega l’importanza dei i vincoli di bilancio, ma occorre essere consapevoli che non è così che può essere curato un malato grave come il nostro Sistema Sanitario. Lo stato della digitalizzazione delle strutture sanitarie italiane è oggi basso e disomogeneo, la spesa per la Sanità digitale stimata dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità nel 2015 è pari a 1,34 miliardi di euro, circa l’1,2% della spesa sanitaria pubblica, corrispondente a 22 euro per abitante. Si tratta di un ammontare di risorse ancora troppo basso perché possa fungere da driver del cambiamento. Altri Paesi europei, con sistemi sanitari confrontabili al nostro, dedicano alla Sanità digitale budget di gran lunga superiore: la Francia, ad esempio, spende in sanità digitale 40 euro ad abitante, la Gran Bretagna 60 euro e la Danimarca addirittura 70 euro.

Nel medio periodo la diffusione di tecnologie digitali in sanità sarà senz’altro un buon affare perché può generare un circolo virtuoso di progressiva razionalizzazione e liberazione di risorse umane ed economiche da reimpiegare in nuovi servizi ed iniziative di digitalizzazione, arrivando così a produrre notevoli risparmi sia per le aziende sanitarie che per i cittadini. Secondo le stime effettuate dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, le aziende sanitarie potrebbero ottenere complessivamente risparmi pari a 6,8 miliardi all’anno attraverso, ad esempio, la deospedalizzazione di pazienti cronici, resa possibile dalle tecnologie a supporto della medicina sul territorio, l’introduzione della cartella clinica elettronica a supporto di medici e infermieri, la dematerializzazione dei referti e delle immagini, la gestione informatizzata dei farmaci, la consegna dei referti via Web e la prenotazione online delle prestazioni. A questi benefici, sono da aggiungere i possibili risparmi economici per i cittadini, pari a circa 7,6 miliardi di euro, i quali, attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali, eviterebbero inutili spostamenti per prenotare visite, ritirare referti, effettuare visite.

Si tratta di un circolo virtuoso vitale per il Paese che può esser attivato però solo a fronte di piani chiari, condivisi e sostenuti da opportuni investimenti iniziali.

A fronte dei vincoli esistenti questo vuol dire innanzitutto:

  • fornire alle Regioni e, attraverso di loro, a tutte le aziende sanitarie, strumenti e linee guida per effettuare un assessment dello stato attuale della digitalizzazione e dei bisogni e, a partire da questo, definire un piano strategico di digitalizzazione che identifichi ambiti di intervento, risorse da impiegare e benefici attesi;
  • finanziare gli interventi prioritari ricorrendo anche alla programmazione europea e a strumenti avanzati per il coinvolgimento degli attori di mercato attraverso Partenariati Pubblico Privato (PPP);
  • favorire la condivisione e il riuso di esperienza e lo sviluppo di shared service a livello regionale e sovraregionale per superare la frammentazione attuale del Sistema;
  • avviare azioni di formazione, comunicazione e sensibilizzazione sulle iniziative e i servizi di sanità digitale rivolte ad operatori e cittadini.

In questo modo si potranno mettere in campo tutte le energie disponibili per uno sforzo di sistema indispensabile a ridare competitività al nostro settore sanitario, che non è solo un servizio pubblico primario, ma anche un settore di immensa rilevanza economica e occupazionale ed un fattore sostanziale di attrattività per il nostro sistema Paese.

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