Salute e sanità: per essere sostenibili la qualità ospedaliera non basta. Le sfide per l’Italia da qui al 2030. Il focus a FORUM PA 2017
Una sanità di ottimo livello per quanto riguarda la cura delle patologie acute, ma che non risponde alle esigenze di assistenza dei malati cronici e delle persone non autosufficienti, che sono la vera sfida per i prossimi anni: questa la situazione italiana. Nel 2040 avremo oltre 6 milioni di disabili, contro i 4 milioni del 2010. L’11,4% delle famiglie ha in casa almeno una persona non autosufficiente e il 15,2% delle persone ha almeno una malattia cronica grave. Eppure la spesa pubblica per disabilità nel nostro Paese è una delle più basse tra le economie avanzate europee. Carla Collicelli, segretariato AsviS e referente per il gruppo di lavoro sul goal 3, fa il punto in vista di FORUM PA 2017.
29 Marzo 2017
Michela Stentella
Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età. Così recita il goal 3 degli SDGs (Sustainable Development Goals), i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. All’interno di questo goal ci sono alcuni target pensati principalmente per Paesi in via di sviluppo, come quelli che puntano alla riduzione del tasso di mortalità materna, del tasso di mortalità sotto i 5 anni di età e del tasso di mortalità neonatale. Altri target, invece, riguardano anche Paesi come il nostro, dove la situazione sanitaria è abbastanza positiva ma esistono forti disuguaglianze territoriali ed è ancora molto alta, per esempio, la mortalità per incidenti stradali nonché l’esposizione ai particolati e all’ozono. Ma la vera sfida per l’Italia sarà riuscire a rispondere alle nuove domande di assistenza legate al cambiamento del quadro epidemiologico e demografico. Il che, tradotto in tre parole, significa: anziani, disabili e malati cronici.
Come ci ricorda Carla Collicelli*, segretariato AsviS e referente per il gruppo di lavoro sul goal 3: “In Italia abbiamo una sanità di ottimo livello che però lo è principalmente per l’intervento sulle patologie acute, che era il problema dei decenni scorsi. Siamo molto bravi nel campo dei trapianti, nella chirurgia, nell’oncologia. Invece dal punto di vista dei non autosufficienti, degli anziani e delle malattie croniche, che peraltro sembrano essere sempre più precoci, non si vedono molti segnali positivi”.
Questo pesa molto e peserà sempre di più se si pensa che il nostro Paese è tra quelli maggiormente influenzati dal fenomeno dell’invecchiamento della popolazione (le previsioni indicano che nel 2045 la quota degli over65 è destinata a raggiungere il 32,5%, rispetto all’attuale 22%). Secondo le stime del Censis i disabili in Italia saliranno dal 6,7% del 2010 al 10,7% nel 2040 (in numeri assoluti parliamo di 4,1 milioni nel 2010, 4,8 nel 2020, 6,7 nel 2040). Ad oggi oltre 2.800 famiglie (l’11,4% del totale) hanno in casa almeno una persona non autosufficiente, e ben 12 regioni fanno registrare una percentuale superiore alla media nazionale con un picco del 15,4% in Puglia. E ancora: in Italia il 15,2% delle persone ha almeno una malattia cronica grave, percentuale che sale al 44,8% nelle persone con più di 65 anni. Eppure la spesa pubblica per disabilità è una delle più basse tra le economie avanzate europee, meno della metà di quanto si spende in Svezia per esempio, e sotto la media UE (413,9 euro di spesa procapite contro i 534,6 della media UE a 28 Paesi).
Bisogna correre ai ripari: capire i cambiamenti della domanda e orientare in questo senso le azioni per la sostenibilità, usare meglio la spesa ospedaliera e farmaceutica, spendere di più per prevenzione e territorio. Aggiunge Collicelli: “Tradizionalmente in sanità il concetto di sostenibilità è stato utilizzato per parlare degli equilibri di bilancio. Piani di rientro e varie forme di controllo realizzate in particolare sui servizi sanitari regionali sono centrate sulla sostenibilità economica come se fosse l’unico fattore di cui tenere conto. Invece la sostenibilità va intesa in termini plurisettoriali, interdisciplinari, e significa prima di tutto agire e regolare le politiche in modo che chi verrà dopo di noi trovi una situazione non compromessa”. Perché la salute non si produce solo con i servizi sanitari ma con le politiche per l’inquinamento, l’istruzione e la buona educazione di giovani e adulti, quindi con un approccio globale in cui le diverse politiche convergono e collaborano.
“La ricerca della sola sostenibilità economica genera razionamento e iniquità – sottolinea Collicelli -. L’OMS recentemente ha richiamato l’Italia dicendo che stiamo andando sotto lo standard di spesa pubblica ritenuta adeguata per assicurare un buon servizio sanitario. In effetti l’Italia spende molto meno degli altri paesi europei per la sanità pubblica. Un altro nodo centrale per l’Italia è la disparità territoriale: le differenze nell’accesso ai servizi si sono addirittura aggravate negli ultimi anni. Per fortuna abbiamo un sistema sociale e famigliare ancora in grado di supplire. Ma al contenimento della spesa per servizi pubblici corrisponde sempre un aumento dei disagi e della spesa privata”. Nel 2015 gli italiani hanno spesso oltre 34 miliardi per prestazioni sanitarie private, +3,2% rispetto al 2013 (pensiamo che nello stesso periodo la spesa totale per consumi è aumentata solo dell’1,7% mentre la spesa alimentare è addirittura scesa dello 0,1%). Si allarga inoltre l’area della “sanità negata”: in Italia nel 2016 11 milioni di persone hanno dovuto rinunciare o rinviare prestazioni sanitarie, +2 milioni rispetto al 2011.
“Non si può fare buona salute se non si investe – conclude Collicelli – solo che gli investimenti non dovrebbero andare sempre nella stessa direzione, ma bisognerebbe puntare soprattutto su queste nuove aree: medicina del territorio, medicina di iniziativa, politiche di prevenzione. Senza dimenticare le tecnologie informatiche che potrebbero essere utilizzate molto meglio consentendo così di risparmiare moltissime risorse e migliorare sia gli aspetti burocratici (documentazione, cartella clinica etc) che l’aspetto delle cure, per esempio attraverso il monitoraggio a distanza”.
* Carla Collicelli dal 1980 al 2016 ha lavorato al Censis, prima come ricercatrice, poi come responsabile del settore delle politiche sociali, dal 1993 al 2015 come vice Direttore generale e infinme come Advisor scientifico.