Sanità e federalismo: il punto con Teresa Petrangolini
Il Rapporto PiT Salute 2007 "Ai confini della Sanità: i cittadini alle prese con il federalismo" fotografa la sanità italiana attraverso le segnalazioni dei cittadini. Al centro gli effetti di un federalismo mal gestito che ci consegna un servizio sanitario nazionale sempre più disomogeneo e che troppo spesso fa della burocrazia uno strumento per ridurre l’accesso dei cittadini.
24 Marzo 2008
Il Rapporto PiT Salute 2007 "Ai confini della Sanità: i cittadini alle prese con il federalismo" fotografa la sanità italiana attraverso le segnalazioni dei cittadini. Al centro gli effetti di un federalismo mal gestito che ci consegna un servizio sanitario nazionale sempre più disomogeneo e che troppo spesso fa della burocrazia uno strumento per ridurre l’accesso dei cittadini.
Temi caldi: liste d’attesa costantemente in crescita (fino a 540 giorni per una mammografia), intramoenia a tempi ridotti e costi notevoli, casi di malpractice registrati in tutta Italia, cure primarie che faticano a decollare. Nel mezzo di una campagna elettorale che sembra aver dimenticato la sanità e i diritti dei malati, ne parliamo con Teresa Petrangolini, Segretario generale di Cittadinanzattiva, fissando idealmente l’agenda del nuovo Governo.
Alla luce dei dati presentati nel Rapporto PiT Salute 2007 quali sono le criticità del nostro sistema sanitario su cui il prossimo Governo è chiamato ad agire in via prioritaria?
La prima criticità e la più importante è la gestione del federalismo che nei fatti sta andando contro i cittadini. Non è giustificabile il fatto che trasferendosi temporaneamente in un’altra regione le cose cambino quasi come se si passasse da un Paese all’altro e non è giustificabile che cittadini di regioni diverse abbiano effettivamente diritti diversi. Ho letto una segnalazione che mi ha molto colpito: una persona che ha fatto il trapianto di rene in una regione, può prendere il farmaco necessario per il post-trapianto solo in quella regione. Il problema evidentemente è nella mancanza di regia che ha portato ad avere 20 sistemi sanitari regionali. Mi verrebbe da dire che c’è stata una interpretazione del federalismo contro il cittadino, contro le sue aspettative e i suoi diritti, con il rischio che si creino 20 potentati con più potere dello Stato centrale. La seconda criticità emersa chiaramente dal Rapporto sono le liste d’attesa, considerando che questa materia è regolata da una legge che quasi nessuno rispetta. Nella scorsa Finanziaria sono stati stanziati notevoli fondi perché tutte le regioni realizzassero i CUP, per cui il miglior modello riconosciuto era quello regionale, ma la maggior parte di esse hanno scelto altre dimensioni territoriali complicando notevolmente le cose. Ricordo anche che c’è una legge che stabilisce che per 52 prestazioni, ovvero le prevalenti e più comuni erogate dalla sanità regionale, come mammografia e visita cardiologia, le regioni si impegnino al rispetto di certi tempi e cioè 30 giorni per le visite e 60 giorni per esami diagnostici… Viene da chiedersi come si possa essere arrivati a un anno e mezzo per una mammografia! Alle liste d’attesa è collegata una comunicazione decisamente poco trasparente e un’intensa attività intramoenia, che arriva nei casi di urgenza differibile ad agire come una sorta di ricatto morale, a fronte dell’attesa lunghissima prospettata dal canale istituzionale. Terza – e ultima tra le principali criticità – è la burocrazia, ovvero tutti gli intoppi amministrativi e di mala gestione che si accaniscono soprattutto sui malati cronici. Cito, ad esempio, l’intercorrere da 1 a 3 anni per il riconoscimento di invalidità civile e fino a 15 giorni per l’attivazione dell’assistenza domiciliare. Si registra il continuo permanere di questa burocratizzazione di tutto, per cui alla fine il cittadino tende a rinunciare o a pagare di tasca propria. Sottolineerei, in chiusura, che questo vale soprattutto per tutto ciò che riguarda il fuori ospedale: la medicina territoriale che dovrebbe essere l’alternativa per spendere meno e finisce per diventare ulteriore elemento di complicazione.
Alla luce della sua esperienza "sul campo", quali sono le direzioni risolutive da intraprendere?
Noi chiediamo al nuovo Governo la riunificazione del SSN, perché dai dati viene fuori in maniera molto chiara che c’è un problema di universalità rispetto al modo in cui era stato pensato e stabilito nelle leggi. Chiediamo al nuovo Governo un riequilibrio dei poteri, per far sì che la Riforma del Titolo V della Costituzione non arrechi danno ai cittadini, con un’attenzione particolare ai più deboli. Chiediamo di entrare come rappresentanti degli utenti nella Commissione che definisce e controlla il rispetto dei LEA, proponendo una sorta di Osservatorio sul federalismo in sanità. Chiediamo di attuare le leggi, rendendo espliciti, attivi e funzionanti i meccanismi di controllo e sanzione.
Il PiT Servizi Salute ha lo scopo di denunciare le disfunzioni. ma anche di fornire una base al decision making istituzionale. Quanto questa funzione è integrata nei meccanismi di una azienda sanitaria?
La priorità per noi è aiutare i cittadini che ci chiamano. La nostra funzione è fare informazione su quello che succede ma soprattutto giungere ad una soluzione per ognuna delle situazioni segnalate. Il secondo livello della nostra attività – che si svolge attraverso una rete diffusa e capillare all’interno delle strutture sanitarie (non c’è una provincia italiana in cui non siamo presenti) – consiste nell’incontro con i dirigenti sanitari, prendendo spunto dal singolo caso al fine di affrontare il tema. Abbiamo dei rapporti abbastanza forti anche con le regioni, lavoriamo con diversi assessori regionali alla Sanità su programmi di miglioramento. Su questo punto vorrei essere ben chiara: a noi non interessa solo denunciare, ma lavorare per modificare. E devo dire che in diverse regioni e in ambiti diversi abbiamo cominciato una collaborazione interessante con le stesse amministrazioni. In altre parole la parte positiva è quella che prevale nel nostro lavoro: partire dai casi non solo per aiutare il singolo cittadino, ma per affrontare i problemi che ci sono dietro, fino ad arrivare a influenzare il livello politico.
I LEA poggiano sull’affermazione di diritti codificati nella Carta Europea e celebrati nella Giornata Europea del 18 Aprile. Quanto un approccio rights-based è fatto proprio dai cittadini stessi?
A parole non c’è istituzione sanitaria che non condivida i 14 diritti della Carta europea dei diritti del malato. Però, da quanto detto finora si capisce che la situazione pratica presenta degli ostacoli, ovvero: i tagli indiscriminati, gli interessi corporativi, le rendite di posizione e il clientelismo. Direi che i diritti del malato sono ormai riconosciuti come validi, non sono legge, anche se il Parlamento italiano dovrebbe presto recepire la Carta dei 14 diritti, permettendoci di farli valere a tutti gli effetti davanti all’autorità giudiziaria. Per quanto riguarda il piano culturale direi che l’idea di diritto è più forte che in altri settori della pubblica amministrazione, anche grazie ai 30 anni di attività del Tribunale dei diritti del malato che ha lavorato molto per far sì che la cultura dell’utenza si facesse strada. Il problema è chiaramente che ogni giorno c’è un ostacolo nuovo e ogni congiuntura presenta nuove sfide. Dalla parte dei cittadini la consapevolezza è aumentata enormemente. Io appartengo a questa organizzazione dalle origini, ho iniziato 30 anni fa e se ripenso ad allora – quando era normale che le madri non potessero entrare in un reparto di pediatria e i bambini venivano legati ai letti – mi rendo conto che di strada se ne è fatta tantissima, proprio in termini di consapevolezza civica. E’ anche vero che permane un problema di informazione, per cui una persona sa vagamente che c’è un diritto, ma non sa concretamente cosa deve fare. Noi serviamo soprattutto a questo: guidare i cittadini nell’esercizio dei propri diritti.