EDITORIALE

“Cura Italia”: un decreto per oggi, ma anche per domani?

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Dobbiamo gestire l’emergenza di oggi con un occhio fisso al presente, a limitare i danni, a non lasciare indietro nessuno, ma con l’altro rivolto al futuro. Il Paese dopo il terribile colpo economico e morale dell’epidemia avrà bisogno di ripartire, ma non come prima. Questa fase difficile ha messo in evidenza la centralità dell’innovazione, ma anche della coesione sociale. Dobbiamo ripartire da questi due elementi per una ripresa verso uno sviluppo equo e sostenibile basato sull’uso intelligente dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale

19 Marzo 2020

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

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Legiferare in emergenza è sempre un lavorare difficile, farlo in un’emergenza enorme come quella che stiamo attraversando lo è ancora di più. È necessario dare risposta a una quantità spropositata di esigenze e di quesiti diversissimi tra loro, accomunati solo dalla situazione straordinaria che viviamo.

Con questo spirito “indulgente” ho letto il Decreto Legislativo 18/2020, cosiddetto “cura Italia”. Ma a un decreto che stanzia 25 miliardi e ne mobilita potenzialmente 350 non possiamo chiedere solo che pensi all’oggi. Quello che definiamo oggi, per rispondere all’urgenza e per impedire un tragico fallimento del Paese, deve necessariamente mettere anche le basi per il domani. Per una ripartenza necessaria. Perché il Paese dopo il terribile colpo economico e morale dell’epidemia ha bisogno di ripartire, ma non come prima. Quel che vedo è che questa fase difficile ha messo in evidenza la centralità dell’innovazione, ma anche della coesione sociale. Dobbiamo ripartire da questi due elementi per una ripresa verso uno sviluppo equo e sostenibile basato sull’uso intelligente dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale.

Ci aiuta in questo senso il Decreto-legge che stanzia una così ingente somma? L’ho letto e riletto quindi da questo punto di vista. Si tratta di un provvedimento certamente complesso: 127 articoli, 72 pagine fitte di Gazzetta Ufficiale. D’altra parte, tutta la nostra vita personale, economica e sociale è stata travolta dall’epidemia e così il decreto si muove a 360 gradi.

Comincio la mia riflessione dal Sistema Sanitario Nazionale (Titolo I del decreto) e da un provvedimento ampiamente pubblicizzato da tutti gli organi di stampa: la possibilità di essere “medici” abilitati anche solo con la Laurea, senza il successivo esame di abilitazione. Io credo che sia un provvedimento oggi necessario, ma è anche giusto per il futuro? Credo che la risposta a questa domanda sia esportabile a molte delle riflessioni che vi proporrò: sì è giusta per il futuro, se accettiamo il fatto che il futuro sia diverso dal presente e dal passato. Ad esempio, per questo specifico aspetto, se accettiamo di riformare il corso di laurea in medicina introducendo già prima della laurea più ampi spazi a tirocini veri, che non siano manovalanza a basso costo e rendendo più stringente l’esame di laurea, come per altro avviene già in tutte le altre professioni sanitarie.

Rimanendo al SSN, sento molti media sentenziare che se ci troviamo oggi in una situazione di difficoltà è perché abbiamo ridotto i posti letto negli ospedali chiudendo decine di strutture territoriali. Qui il rischio di tornare indietro di decenni è gravissimo: non sarà certo riaprendo ospedali piccoli, intrinsecamente non sicuri e del tutto antieconomici che ci prepareremo ad eventuali nuove gravi emergenze. Va pensato il futuro perseguendo con coraggio quello che abbiamo per ora intrapreso con troppa timidezza: sostituire l’ospedale con la medicina di territorio, utilizzare la telemedicina in tutte le sue potenzialità (pensate cosa avrebbe voluto dire ora avere tutti i pazienti fragili sotto controllo da remoto), accompagnare i cronici a casa loro e riservare gli ospedali solo per le acuzie. In tanta parte d’Italia questo è già realtà, ma in altre Regioni è fantascienza. Poi dovremmo attrezzarci per le emergenze, sapendo che ai terremoti, alle alluvioni e alle altre catastrofi si aggiunge ora la possibilità di catastrofi della salute, create da agenti patogeni farmacoresistenti. Pensare all’oggi, gestire l’emergenza, ma anche qui con un occhio al domani, non al passato.

Lo stesso vale per la scuola (art. 120 del decreto). Benissimo potenziare ora, in emergenza, la teledidattica, bene aiutare le scuole ad attrezzarsi, seppure con i pochi fondi messi a disposizione, ma dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione, oggi per domani, stimolati dall’emergenza, lo stesso paradigma di cui è fatta la scuola: un modello basato ancora oggi nella maggior parte dei casi su lezioni frontali in aule chiuse, da parte di insegnanti solitari e poco collegati tra loro e con il mondo.  Una scuola così non può riscoprire solo ora in emergenza, quando la fisicità di interrompe, la necessità di collegarsi continuamente con il mondo e con l’enorme patrimonio informativo e formativo che la rete mette a disposizione. Patrimonio che va, lo so bene, mediato certamente dall’insegnante, ma che non può restare fuori dalla porta o entrarci solo attraverso i libri di testo, che son vecchi appena stampati.

Potremmo fare ragionamenti simili per la lodevole attenzione che il decreto pone vero i lavoratori autonomi, saltuari, non garantiti (art. 27 e 28 del decreto).  Anche qui che l’attenzione di oggi non sia un episodio, ma una consapevolezza di un nuovo modo di essere lavoratori.

Oppure potremmo parlare della genitorialità, (art. 23 del decreto) protetta ora che i figli rischiano di restare soli a casa, ma invece scarsamente aiutata con asili nido e scuole materne (nel Sud c’è ancora un’offerta in asili nido che copre meno del 20% dei bambini).

Finalmente diventa norma universale (art. 73 del decreto) la possibilità di riunione con presenze in remoto attraverso collegamenti in videoconferenza degli organi collegiali, dai consigli e giunte comunali al Governo, dal Consiglio d’amministrazione delle aziende ai Consigli camerali, ecc.. ma mi chiedo: ci voleva il Covid-1 per permettere per legge quello che già è prassi in tanti organi?

Potrei continuare parlando della semplificazione degli acquisti (art. 75 del decreto) di tecnologia per le pubbliche amministrazioni. Un ripensamento del codice degli appalti in questo senso era auspicato da un pezzo, speriamo che passata l’emergenza non si torni alla ceralacca.
O anche della nuova considerazione delle aziende di TLC (art. 82 del decreto) come aziende di pubblica utilità, pilastro di un paese che non si svilupperà mai senza un efficace e veloce sviluppo delle nuove vie di comunicazione, mentre ad oggi il piano BUL rimane in gran parte inattuato.

Basta. Il mio ragionamento è chiaro: dobbiamo gestire l’emergenza di oggi con un occhio fisso al presente, a limitare i danni, a non lasciare indietro nessuno, ma con l’altro rivolto al futuro, a quando l’emergenza finirà e ci ritroveremo un Paese che ha voglia e bisogno di ripartire, ma per favore, lo ripeto, non come prima. “Non sprechiamo questi giorni difficili” (lo dice anche il Papa), ma usiamoli per immaginare un futuro diverso ed uno sviluppo equo e sostenibile.

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