La rivoluzione dell’empatia, come la nostra civiltà riuscirà (forse) a salvarsi.

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Vi riportiamo la trascrizione di un brillante e appassionato intervento di Jeremy Rifkin, economista e profondo conoscitore delle questioni energetiche, alla trasmissione Parla con me. Rifkin parla di empatia come del nuovo collante sociale, in grado di mettere in moto una nuova rivoluzione "open", in cui la capacità di generare e condividere energia avverrà nello stesso modo in cui oggi si producono e condividono i contenuti on line.
La rivoluzione democratica delle energie rinnovabili contro il monolitico centralismo del pensiero filo-nucleare.
La stiamo tutti aspettando. La stiamo tutti costruendo.

22 Marzo 2010

J

Jeremy Rifkin*

Articolo FPA

Vi riportiamo la trascrizione di un brillante e appassionato intervento di Jeremy Rifkin, economista e profondo conoscitore delle questioni energetiche, alla trasmissione Parla con me. Rifkin parla di empatia come del nuovo collante sociale, in grado di mettere in moto una nuova rivoluzione "open", in cui la capacità di generare e condividere energia avverrà nello stesso modo in cui oggi si producono e condividono i contenuti on line.
La rivoluzione democratica delle energie rinnovabili contro il monolitico centralismo del pensiero filo-nucleare.
La stiamo tutti aspettando. La stiamo tutti costruendo.

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Ci troviamo in un momento critico perchè l’era basata su combustibili fossili è finita, non esiste più: ci troviamo di fronte al cambiamento climatico che potrebbe minacciare la nostra capacità di vivere come specie. Dobbiamo quindi prendere decisioni molto rapidamente.
Io parlo di civiltà dell’empatia.

Cos’è la civiltà dell’empatia?
E’ molto interessante che i nostri filosofi ci hanno detto che la natura dell’uomo è interessata a sé stessa, è utilitarista, interessata al piacere, egoista, competitiva.

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Se questa è la nostra natura siamo destinati a finire male perchè non sappiamo come sette miliardi di persone possano andare d’accordo su un pianeta. Quello che è interessante è che negli ultimi dieci anni alcuni grandi scienziati dell’evoluzione hanno fatto grossi passi in avanti e hanno scoperto che questa non è la nostra vera natura. Studiando il nostro sistema nervoso, infatti, hanno scoperto che siamo codificati per essere empatici, per essere collaborativi. L’empatia è qualcosa sia di emotivo che di cognitivo. L’empatia è un qualcosa che ci consente di uscire da noi e vivere quallo che sta vivendo un’altra persona. Se io empatizzo con mia moglie o con i miei figli significa che io posso sentire la loro fragilità, la loro vulnerabilità, la loro lotta per essere, prosperare. E io faccio il tifo per loro dicendo che voglio che tu ci riesca. l’opposto dell’utopia del paradiso, dove non c’è mortalità, non c’è senso di sofferenza, di fragilità perché tutto è eterno. L’empatia è fondata sulla comprensione l’uno dell’altro, delle nostre imperfezioni, quindi mostriamo solidarietà e comprensione l’uno dell’altro.
E’ la nostra natura. La cosa interessante è che l’empatia può essere repressa e riaffiorare: se non hai avuto dei bravi genitori o un sistema scolastico adeguato, viene fuori la pulsione secondaria, il materialismo, la violenza, ma invece la nostra pulsione primaria è provare empatia, collaborare.

Quando guardiamo indietro i nostri ricordi risalgono a quando possiamo provare empatia con un altro essere umano. Come emerge l’empatia nei secoli? Anche l’empatia si evolve. Quando emergono rivoluzioni dell’energia queste rendono una società più complessa e contribuiscono ad organizzare queste civiltà. L’uomo e la donna primitivi hanno forgiato la società. Andiamo alle grandi civiltà agricole: l’empatia va dai legami di sangue ai legami dei popoli per cui tutti gli ebrei possono empatizzare con gli altri ebrei, i cristiani con i cristiani, i musulmani con i musulmani e così via. Quando arriva la rivoluzione industriale c’è lo stato nazione quindi si crea un’altra forma di empatia. Questa rivoluzione crea società più complesse.
Adesso che esiste la generazione di internet dobbiamo ampliare, estendere la nostra famiglia all’intera razza umana, allargando l’empatia. Il Web è l’esempio massimo di empatia. Quando il terremoto ha colpito Haiti, dopo un’ora era tutto su twitter, dopo due ore su youtube, dopo tre ore tutti empaticamente andavano a salvare i loro “vicini” di Haiti, questo è il potere di internet.

Nelle scuole se ti insegnano che tutto quello che fai ha un’impronta di carbonio, e questo potrebbe avere un impatto su altre famiglie. La biosfera ci mette tutti in relazione.
Le previsioni sulle emissioni e gli impatti ambientali ci dimostrano, al di là degli ottimisti, che c’è poco tempo.
A Copenaghen abbiamo visto la geopolitica basata sul fatto che si pensa che gli essere umani sono  egoisti, utilitaristi, a volte diventiamo quello che crediamo di essere, ma non è questa la nostra natura.

In questo secolo la temperatura aumenterà di tre gradi, riportando la temperatura del nostro pianeta a quella di tre milioni di anni fa. Potremmo perdere circa il 70% delle specie viventi. Questo è un periodo molto pericoloso. Gli esseri umani sono qui da 175 mila anni, noi oggi abbiamo aperto le acque nell’Artico e si tratta di un cambiamento catastrofico. Quello che dobbiamo fare è creare rapidamente la coscienza della biosfera, estendere l’empatia alla famiglia umana e far partire una terza rivoluzione industriale, eliminando i combustibili fossili, passando all’energia rinnovabile.

Io ho contributo a lanciare il piano dell’Unione Europea. Sto lavorando con il sindaco di Roma per rendere Roma entro il 2020, la prima città a impatto zero. Prevediamo di passare alle energie rinnovabili che sono distribuite, perché il sole, il vento, sono dappertutto. L’Europa si è impegnata, in 10 anni convertiremo ogni edificio in una centrale elettrica, in modo che sarete voi che potrete generare energia, utilizzando il calore sotterraneo, il sole, il vento… Poi metteremo l’idrogeno all’interno dell’edificio in maniera da rendere possibile conservare nel tempo l’energia prodotta. Dopo di che prenderemo la stessa tecnologia che ha creato internet, useremo la rete elettrica per trasformarla in una rete che opera come internet perché tutti quanti noi generiamo energia, col calore, col sole, e costruiremo una rete in grado di rendere possibile la condivisione di energia in tutta Europa come ora facciamo con le informazioni sul web.
Saranno queste le rivoluzioni, su Roma, sulla Sicilia.

Le centrali nucleari verso cui stiamo tornando rappresentano un modo di pensare così obsoleto. Innanzitutto è evidente che l’energia nucleare possa avere un impatto sul cambiamento climatico. Poi in termini di risorse, avremo un deficit di uranio, potremmo riprocessarlo, ma a quel punto avremo i terroristi perché potrà essere rivenduto, poi c’è il problema delle scorie di cui non sappiamo ancora come liberarci; quarto punto: non c’è abbastanza acqua, il 40% dell’acqua usata in Francia viene adoperata per le centrali nucleari. E non c’è abbastanza acqua per tutti.

Questo è un modo di pensare vecchio che centralizza il potere, centralizza il controllo.
La vera divisione è se si vuole un cambiamento condiviso o centralizzato. È un cambiamento generazionale, la nuova politica è se si pensa in termini centralizzati patriarcali, oppure diffusi, open source. La nuova generazione pensa in questi termini. Abbiamo bisogno di energie condivise. Quando vedi un politico lo riconosci subito se è "centralizzato" o open source, ma la crisi energetica non è né di destra né di sinistra.

Noi abbiamo trasmesso spettacoli televisivi nell’universo sperando che qualcuno ci possa rispondere per dirci che non siamo soli e poi siamo qui sulla terra, circondati da altre creature che hanno sentimenti, vita, storie e noi li distruggiamo cercando la vita da qualche altra parte. Credo che questo non abbia nessun senso.
Dobbiamo cominciare a renderci conto che la vita sulla terra è preziosa e le altre creature hanno diritto di stare in partnership con noi e credo che se riusciamo a creare questa coscienza e vivere sulla terra da buoni soci, credo che riusciremo a salvarci.
Sta alle nuove giovani generazioni avere la volontà, la determinazione, la risoluzione, non soltanto aspettare che sia qualcun altro a farlo, ma farlo loro. Io credo che sia un campo difficile, ma forse siamo ancora in tempo.
 

* pubblicato da Letizia Pica.


Il video di Jeremy Rifkin a Parla con me.

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