Formazione, concorsi e organizzazione del lavoro. Coniugare IA e lavoro pubblico secondo le Direzioni HR della PA

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Gestire le persone e riprogettare le organizzazioni nell’era dell’intelligenza artificiale è senza dubbio uno dei grandi temi con cui ci stiamo confrontando. Fuggire dalle posizioni estreme di Tech Enthusiasm e Tech Panic non è facile, ma sicuramente doveroso se si vuole provare a comprendere meglio il fenomeno. La Community degli HR Manager pubblici si è incontrata, lo scorso 2 luglio, per un nuovo appuntamento per provare a fare qualche passo in avanti, cercando nella collaborazione tra pubblico e privato non solo comunanza di destino e apprendimento reciproco, ma anche e soprattutto supporto specialistico

11 Luglio 2024

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Giovanna Stagno

Responsabile Area Gare e Convenzioni FPA

Foto di Rachele Maria Curti

Qualche giorno fa abbiamo co-organizzato uno spettacolo teatrale dedicato alla storia di Netflix insieme a Companies Talk, un progetto culturale nato per raccontare le grandi imprese di successo, e Talent Garden Ostiense, l’innovativo spazio di coworking che si occupa di crescita e sviluppo di persone e organizzazioni nell’ecosistema digitale.

Riecheggiando errori e fallimenti, il racconto dell’ascesa della piattaforma di video streaming on-demand più usata al mondo, ci ha riportato alla memoria una citazione che, confesso, da giorni mi risuona in testa: “Nessuno sa niente”. È la frase che Marc Randolph, cofondatore e primo amministratore delegato di Netflix, ripete e fa propria traendola dall’insegnamento dello sceneggiatore statunitense William Goldman che per la prima volta l’aveva pronunciata negli anni 80 “in riferimento alle molte case cinematografiche americane che si rifiutarono di realizzare film che si sarebbero poi rivelati grandi successi” [1]. Alla base di questa conclusione, la constatazione che nonostante gli studi, le riflessioni, le analisi, i ragionamenti nessuno è in grado di predire come andrà un progetto prima che questo sia effettivamente sul mercato, nelle mani dei suoi consumatori finali.

Lo è per il cinema, lo è anche per i grandi progetti di innovazione, dove peraltro spesso la tecnologia vive nuove risemantizzazioni legate all’esperienza che gli utenti ne fanno, talvolta anche inaspettata rispetto all’uso per cui essa è stata progettata.

Constatazione che sentiamo di dover applicare anche a quanto stia accadendo nel settore dell’intelligenza artificiale e nello specifico all’applicazione di questa alla gestione delle persone all’interno delle organizzazioni. La velocità con cui le condizioni di sviluppo mutano conferisce al fenomeno i caratteri di sfuggevolezza e imprevedibilità e alle sue applicazioni quelli di sperimentazione e di apprendimento continui. Nessuno, quindi, sa ancora bene come evolverà, o forse sappiamo ancora troppo poco e quello che sappiamo sta già cambiando.

Riprogettare il lavoro nell’era della terza rivoluzione culturale

Gestire le persone e riprogettare le organizzazioni nell’era dell’intelligenza artificiale è senza dubbio uno dei grandi temi con cui ci stiamo confrontando. Fuggire dalle posizioni estreme di Tech Enthusiasm e Tech Panic non è facile, ma sicuramente doveroso se si vuole provare a comprendere meglio il fenomeno. Quello che più ci convince è forse l’approccio che Federico Butera definisce sociotecnica 5.0, un nuovo modo di progettare insieme organizzazione, lavoro e tecnologia che porti ad affermare la right AI “che aumenta la produttività, aumenta la quantità di lavoro aggregato, potenzia il lavoro e genera organizzazioni di nuova concezione” [2] contro la wrong AI che “elimina i posti di lavoro senza aumentare la produttività”[3].

Siamo tutti concordi nell’affermare che l’intelligenza artificiale – nello specifico la generativa – stia mutando in modo irreversibile e dirompente il lavoro, perché sta mutando in modo irreversibile e dirompente il modo in cui l’uomo produce e organizza la conoscenza, in quella che prende la forma “di una terza rivoluzione culturale in cui anche il nostro primato cognitivo [ndr, dopo quello cosmologico e quello biologico] è messo in discussione”[4]. L’esperienza che stiamo maturando con l’utilizzo di ChatGPT e simili pone davanti un quadro in cui “I chatbot dimostrano cioè di essere cognitivamente alieni, pur essendo stati addestrati con contenuti e in linguaggi che sono parte della nostra società. Infatti, i testi che producono non sembrano prodotti nello stesso modo dei testi che noi produciamo, segno che ciò che produce tali testi non pensa, capisce e sperimenta il mondo come noi. Tuttavia, i contenuti e la forma delle nostre conversazioni con loro sono spesso di qualità e profondità sorprendenti”[5]. Con chi o con cosa stiamo interagendo quindi? Si tratta di “strumenti, colleghi o consulenti”?[6] Quale distintività manterrà l’uomo rispetto alle macchine e agli algoritmi? Su cosa dovremo concentrare l’attenzione nel prossimo futuro rispetto alle nostre modalità di apprendimento? Cosa sarà utile imparare e cosa sarà utile delegare? Quali competenze dovremo potenziare e quali competenze saranno assorbite dall’intelligenza artificiale?

Intelligenza artificiale e lavoro pubblico: dai dati al confronto con la Community di FPA

Chi ci segue sa che abbiamo iniziato anche noi a porci queste domande applicandole al pubblico impiego. Alcuni primi dati e considerazioni sull’esposizione del lavoro nel settore pubblico all’intelligenza artificiali sono contenuti nella nostra ricerca L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego presentata in apertura di FORUM PA 2024.

Dal report della ricerca:
“Il 57% dei dipendenti pubblici (1.851.386 individui) è fortemente esposto all’intelligenza artificiale […]. Tra le figure più esposte ci sono: personale dirigente e direttivo, tecnici, ricercatori, insegnanti, legali, architetti, ingegneri e professionisti sanitari, assistenti amministrativi. Tra questi […], l’80% può beneficiare, se ben formati e in un contesto organizzativo abilitante, dell’integrazione dell’IA nello svolgimento delle attività professionali, mostrando una significativa sinergia soprattutto nei ruoli di leadership e gestione. Il 12% invece è altamente esposto a un potenziale effetto sostituzione da parte delle tecnologie avanzate, specialmente in professioni meno specializzate e con compiti ripetitivi. […]
In sintesi, le professioni ad alta specializzazione, come quelle dei direttivi, dei dirigenti e dei professionisti, nonostante siano significativamente coinvolte dall’avvento dell’IA, dimostrano una notevole affinità e potenziale di collaborazione con essa. Al contrario, le professioni meno specializzate e più routinarie si rivelano essere quelle maggiormente vulnerabili alla sostituzione […]”[7].

Durante lo stesso FORUM PA 2024 si è tenuto il tavolo di lavoro con la nostra Community degli HR Manager (a cui hanno partecipato 40 tra Direttori e Direttrici del Personale, Organizzazione e Formazione di alcune pubbliche amministrazioni centrali e locali), occasione per far emergere, direttamente dalla voce di coloro che quotidianamente lavorano con e per le persone e organizzazioni, alcune prime valutazioni in termini di opportunità/punti di forza e criticità/punti di debolezza circa l’impatto dell’IA su alcuni dei processi dell’HR Management:

  • processi di selezione e recruiting;
  • formazione e competenze;
  • organizzazione del lavoro.

In questa immagine abbiamo voluto sintetizzare il lavoro svolto insieme, disponibile in modo completo e dettagliato nel report del tavolo.

Mentre noi siamo alle prese con approfondimenti e focus della nostra ricerca che ci aiutino meglio ad inquadrare l’evoluzione del tema, la Community si è incontrata, lo scorso 2 luglio, per un nuovo appuntamento dal titolo “Gestire l’intelligenza artificiale per un pubblico impiego ‘aumentato’”, per provare a fare qualche passo in avanti, cercando nella collaborazione tra pubblico e privato non solo comunanza di destino e apprendimento reciproco (anche le imprese stanno facendo i conti con l’impatto dell’IA sulle mansioni, professioni e competenze), ma anche e soprattutto supporto specialistico.

Nel corso dell’evento i partecipanti sono stati sollecitati, così, ad esprimere accordo o disaccordo rispetto ai fenomeni delineati dai dati della nostra ricerca e a indicare quali misure e iniziative siano necessarie, a loro avviso, per gestire l’esposizione sulle professioni “sostituibili” e quali per sfruttare al massimo i casi di complementarità tra persone e IA.

Proprio perché – per tornare al nostro mantra iniziale “nessuno sa niente” – le domande hanno generato altre domande nella convinzione che porsi i giusti quesiti sia il modo migliore per affrontare il cambiamento e forse anche un po’ per esorcizzare l’errore e per prendere atto che tutto è in evoluzione. Così i Direttori e le Direttrici del Personale, Organizzazione e Formazione delle amministrazioni partecipanti si sono chiesti:

  • abbiamo le competenze adeguate?
  • abbiamo processi di raccolta, trattamento e archiviazione dati efficaci ed efficienti?
  • abbiamo le giuste e moderne infrastrutture?
  • i modelli organizzativi sono adeguati a ricevere queste innovazioni e a generare nuova innovazione?

Il tavolo ha restituito molti spunti interessanti che proveremo a sintetizzare a seguire.

Formare non è accessorio

In uno scenario come quello delineato dai dati sopra riportati, percorsi di upskilling e reskilling sono fondamentali: da una parte migliorare e sviluppare le competenze dei lavatori pubblici per rendere effettivamente “aumentato” il lavoro che già svolgono, dall’altra accompagnare verso nuove attività e ruoli, quanti per età e propensione non saranno in grado di assimilare il nuovo e di governare il cambiamento con le competenze necessarie.

Formare non è quindi un esercizio di stile, un totale di ore da raggiungere, ma un’azione da progettare e svolgere partendo da attenti piani di formazione e di fabbisogni del personale.

Due note sono state evidenziate su questo ambito. La prima è relativa al Digital Mindset e alla sua diffusione trasversalmente alle diverse generazioni. Esso, infatti, non è necessariamente legato all’Age Gap, in quanto anche nelle generazioni più giovani si notano spesso delle incompatibilità o delle resistenze al cambiamento e all’utilizzo delle nuove tecnologie che spesso non sono facili da superare. La seconda è una sensibilità forte e diffusa al tema delle “transizioni lavorative” che alcune amministrazioni stanno affrontando anche valutando sinergie con il mercato privato, quale ulteriore strada da percorrere nei casi di sostituzione per effetto dell’introduzione dell’intelligenza artificiale.

Selezioni lungimiranti

Se le competenze che ci servono per governare l’IA e con l’IA (nel pubblico quanto nel privato) sono competenze nuove, due sono le domande che all’unanimità i partecipanti al confronto si sono posti.

La prima è se esistano oggi sul mercato queste competenze. Il sistema scolastico e quello universitario stanno plasmando, cioè, i profili professionali con queste nuove abilità e skills, che orienteranno il mercato del lavoro del prossimo futuro? La seconda è se i processi di selezione e i concorsi che si stanno andando a progettare integrano nelle organizzazioni nuove competenze per lavori aumentati e per nuovi lavori. Stiamo selezionando, cioè, le competenze giuste? Domanda, quest’ultima, che vale tanto per le competenze specialistiche e tecniche delle nuove figure professionali legate alle nuove tecnologie (statistici, esperti di etica dell’IA, ecc..) quanto per le competenze trasversali (e “integrate” come sono state definite da alcuni partecipanti) che “difficilmente saranno nel breve sostituite dagli algoritmi e che, al contrario, possono andare a qualificare il lavoro liberato da mansioni ripetitive e routinarie”[8], ovvero soft skills come la creatività e l’originalità, il pensiero critico, l’adattabilità, la resilienza e la flessibilità, già evidenziate dal Rapporto del World Economic Forum come le competenze del prossimo futuro.

Ripensare i modelli organizzativi

In scia a quell’evidenza di inadeguatezza dei modelli organizzativi che già la pandemia aveva messo in luce, il contesto attuale sta rivelando le crepe delle organizzazioni gerarchico-funzionali e burocratiche. Modelli che non andranno più bene e che bisognerà cambiare, a vantaggio di modelli flessibili e approcci multidisciplinari, basati sull’assegnazione di obiettivi misurabili e sulla valutazione della performance.

(Public) Smart organization quindi che non possono prescindere da un’approfondita mappa dei processi e dalla conoscenza delle skills dei dipendenti, da approcci e strumenti che puntino alla collaborazione e alla responsabilità condivisa, strutture orizzontali organizzate per progetti e per team di lavoro, ma anche dotate di una buona capacità (e coraggio) nel simulare, nel procedere per tentativi ed errori. Sperimentare e simulare in ambito organizzativo permetterebbe, così, per esempio di capire come l’allocazione di determinati profili o la creazione di determinati gruppi di lavoro o l’introduzione di nuove competenze impatterebbero sull’efficienza operativa. Purtroppo, però, come noto, la cultura della sperimentazione e dell’errore nella PA fatica a farsi strada, talvolta per resistenza, spesso per i tempi che dovrebbe concedere e di cui necessiterebbe e per l’impatto che l’azione amministrativa ha giornalmente sulla vita dei cittadini.

Senza un ripensamento dei modelli organizzativi, tuttavia, non si farà che replicare distorsioni attuali, come la tendenza sistematica ad indire concorsi che vanno meramente a sostituire il personale in uscita, senza una corretta analisi delle competenze necessarie ad affrontare e orientare il cambiamento.

Filo rosso ed elementi trasversali

Se si guarda in filigrana a quanto evidenziato su ciascuno dei tre ambiti sopra descritti emergono un filo rosso e alcuni elementi trasversali.

Il filo rosso non può che essere quello delle competenze, da formare o da reindirizzare, da conoscere e da ricercare, adeguate al disegno di nuovi modelli organizzativi.

L’allarme principale su questo fronte è legato allo scostamento tra tempi necessari per produrre queste competenze e la velocità con cui avanza il cambiamento. Serve allora, tanto “mettere in produzione” queste skills per averle sul mercato e poterle acquisire con giusti processi di recruiting, quanto lavorare con la formazione interna per agire sui profili e sulle persone che più vi si avvicinano per set di competenze e/o per propensione.

Ribadito inoltre il ruolo chiave della dirigenza nell’individuare queste nuove competenze necessarie e nell’essere motore e gestore di innovazione.

Per quanto riguarda gli aspetti trasversali, essi attengono a quattro grandi dimensioni:

  • necessità di una governance accentrata dentro e fuori le amministrazioni. Molte amministrazioni si stanno attivando nell’istituzione di direzioni o unità dedicate al tema dell’IA per “cercare di rendere concreta la complementarità” all’interno delle organizzazioni e interagire in modo univoco e ordinato con i soggetti istituzionali preposti.
  • necessità di strategie e approcci sistemici che si basino su mappatura dei processi, integrazione tra le funzioni e dei processi, interoperabilità dei sistemi (e delle persone), sinergia tra Direzione HR e Direzione IT. È su questi elementi, cuciti insieme nell’approccio sistemico, che va ad innestarsi l’IA.
  • percezione di una normativa limitante, ancora come troppo vincolante e a volte confusionaria, che dà voce a troppi attori istituzionali che spesso si trovano ad intervenire anche in modo strabico sulla materia.
  • imprescindibilitàdel match tra attrattività delle amministrazioni e aspettative dei candidati basate su fattori come il coinvolgimento, la motivazione e l’equilibrio vita-lavoro a cui, in modo sempre più prepotente si affiancano le aspettative tecnologiche sul posto di lavoro.

Il percorso con la Community non termina qui. Stiamo lavorando per organizzare dall’autunno nuove iniziative, incontri e occasioni di confronto e approfondimento perché è vero che “nessuno sa niente” rispetto agli sviluppi futuri dell’IA, al successo delle sue applicazioni, all’evoluzione del lavoro esposto all’intelligenza artificiale, ma crediamo che sia proprio in questo momento che si gettano – insieme – le basi per affrontare il cambiamento con consapevolezza e responsabilità.

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Intelligenza artificiale e organizzazione del lavoro nella PA: il commento degli HR Manager pubblici

La diffidenza o l'eccessiva fiducia nell'intelligenza artificiale rappresentano il dilemma attuale. La complementarità tra IA e lavoro umano e le…

di Patrizia Fortunato

11 Luglio 2024


[1]Nessuno sa niente” di Barry Ritholtz – Bloomberg pubblicato su “Il Post” il 9 maggio 2021

[2] Giorgio De Michelis, Federico Butera, “Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile”, 2024 Marsilio Editore, Introduzione.

[3] Ibidem.

[4] Luca Mari, “L’intelligenza artificiale di Dostoevskij: Riflessioni sul futuro, la conoscenza, la responsabilità umana”, 2024 IlSole24Ore

[5] Ibidem, pag. 120-121.

[6] Per riprendere la domanda che Luca Mari si pone nel capitolo 3 del suo libro.

[7] “L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego”, 2024 FPA.

[8] Gianni Dominici in “Com’è umano lei”: del lavoro ai tempi dell’Intelligenza Artificiale generativa”, 18 aprile 2024

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