Isfol: contratto atipico per il 12,4% dei lavoratori italiani
Dall’ultima indagine Isfol Plus sull’offerta di lavoro, condotta annualmente su circa 40mila individui tra i 18 e i 64 anni, emerge che il 12,4% degli occupati italiani ha un contratto atipico, mentre il 65,5% ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e il 18,2% un’attività autonoma continuativa. La quota di apprendisti, invece, è pari all’1,4%.
10 Gennaio 2012
Redazione FORUM PA
Dall’ultima indagine Isfol Plus sull’offerta di lavoro, condotta annualmente su circa 40mila individui tra i 18 e i 64 anni, emerge che il 12,4% degli occupati italiani ha un contratto atipico, mentre il 65,5% ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e il 18,2% un’attività autonoma continuativa. La quota di apprendisti, invece, è pari all’1,4%.
Sono soprattutto i giovani ad avere contratti non standard: nella fascia d’età tra i 18 e i 29 anni, infatti, quasi il 25% degli occupati rientra nell’atipico. Le altre categorie più coinvolte sono le donne Oltre ai giovani, il maggior numero di contratti atipici riguarda le donne (15,5%), i laureati (17,8%) e i residenti nelle regioni meridionali (14,2%).
La durata di questi contratti è molto limitata: per la metà dei dipendenti a termine va dai 7 ai 12 mesi e solo un quarto supera l’anno. La durata delle altre tipologie atipiche è ancora minore.
Nel periodo 2008-2010, il 37% dei lavoratori atipici è passato a un’occupazione standard, mentre il 43,1% é rimasto nella condizione originaria e circa il 20% è finito nell’area dei senza lavoro. Tra chi era in cerca di un’occupazione la percentuale di chi ha trovato un lavoro standard è intorno al 16%, analoga a quella di chi ha invece ottenuto un lavoro atipico; mentre quasi il 60% è rimasto nella stessa condizione e poco meno del 10% è confluito nell’inattività.
Confrontando questi dati con il precedente biennio 2006-2008 emerge come il tasso di trasformazione da un’occupazione non standard al lavoro tipico sia sceso di 9 punti percentuali (dal 46% al 37%). Va comunque sottolineato che i lavoratori atipici mostrano performance migliori rispetto a coloro che sono in cerca di lavoro: relativamente a questi ultimi le percentuali di passaggio ad un’occupazione standard sono, infatti, il 21% nel 2006-2008 e il 16% nel 2008-2010.
“Possiamo parlare – ha dichiarato Aviana Bulgarelli, Direttore generale dell’Isfol – di un mercato del lavoro meno permeabile, in cui l’ingresso nel mondo del lavoro prima e la stabilizzazione delle posizioni lavorative poi avvengono con più difficoltà. Il lavoro non standard aumenta le probabilità di transitare verso un impiego stabile. Tuttavia, la velocità di trasformazione di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati, segnale che la crisi l’hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008”.
Se nel 2010 gli effetti della crisi sulla componente standard erano ancora limitati, invece sul versante dei non standard si è avuta una riduzione della loro incidenza rispetto al 2008, che sottende la fuoriuscita dal mondo del lavoro di quasi mezzo milioni di lavoratori atipici. “In conseguenza della crisi globale – ha aggiunto il Direttore dell’Isfol – l’andamento dell’occupazione, e in particolare di quella a termine, ha subito in Europa una netta contrazione nel biennio 2008-2010, come recentemente illustrato nel documento Draft Joint Employment Report 2011 della Commissione Europea. In tutti i paese europei l’attivazione di politiche volte alla creazione di posti di lavoro stanno rapidamente affermandosi come una necessità complementare alle azioni di risanamento finanziario”.
Anche nelle dinamiche di passaggio dal lavoro atipico e dalla disoccupazione al lavoro standard i giovani e le donne risultano i più svantaggiati. I laureati, nel periodo 2008-2010, hanno gli esiti più favorevoli dalla non occupazione verso l’occupazione e registrano i migliori livelli di trasformazione dal lavoro atipico al tipico; mostrano tuttavia anche un più alto grado di permanenza nella condizione di non standard: circa 1 laureato su 2 è rimasto con contratto atipico nel corso del biennio. Sotto il profilo territoriale, nel Mezzogiorno si registrano performance peggiori sia nei passaggi da atipico a tipico sia nel rischio di scivolare verso la disoccupazione.
Analizzando i flussi relativi alle specifiche tipologie contrattuali – le cosiddette performance contrattuali – emerge come l’apprendistato offra la maggiore probabilità di mantenere un’occupazione e di confluire nel lavoro a tempo indeterminato. “L’apprendistato – sostiene Aviana Bulgarelli – nella sua natura formativa, permette ai giovani di acquisire le competenze tecniche e trasversali richieste dalla domanda di lavoro e non sufficientemente fornite dal sistema di istruzione e formazione i cui curricula non consentono, al contrario degli altri Paesi europei, periodi di stage in impresa”.
FONTE: Ufficio stampa Isfol