La PA, gli esuberi e il futuro incerto. Anzi: precario
Un articolo del professor Verbaro si presta ad alcune considerazioni, anzitutto quella che stiamo per avvicinarci ad un momento di cambiamento epocale per la Pubblica amministrazione italiana, alle prese – stavolta ineludibilmente – con le eccedenze di personale da risolvere. Saranno presto 15mila i dipendenti coinvolti: a loro potrebbero toccare due anni di mobilità, con lo stipendio ridotto all’80% del totale. E poi?
10 Gennaio 2012
Tiziano Marelli
Fra i tanti spunti di riflessione che offre la rete, ne ho trovato recentemente uno di Francesco Verbaro– attualmente docente della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, e in passato anche Segretario Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – particolarmente interessante. Lascio ai lettori di PAssepartout la possibilità, la voglia e la pazienza di leggere integralmente l’intervento del professor Verbaro: si può essere d’accordo o meno rispetto a quello che analizza e afferma, ma quello su cui mi vorrei concentrare brevemente è presto detto, ed eccolo di seguito.
Dall’articolo, infatti, si evince che entro poche settimane si arriverà al nodo di dover affrontare il problema di un numero notevole ed ineludibile di esuberi – stiamo parlando di ben 15mila dipendenti – nella Pubblica Amministrazione nazionale da risolvere, senza tener per il momento conto di quante siano le reali eccedenze acclarate: nell’articolo, Verbaro afferma che sono oltre 300mila quelle individuate nelle amministrazioni pubbliche (secondo una elaborazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in collaborazione con Rgs) e circa 150mila nelle società partecipate (il dato è di Unioncamere). È quindi evidente che siamo alla vigilia di qualcosa di assolutamente epocale che riguarda la nostra PA.
Visto che stavolta è da escludere che si possa risolvere (sbrigare?) la faccenda come se non fosse successo niente lasciando tutti al loro posto (sarebbe come buttare dei soldi dalla finestra, e proprio per questo la legge è chiara e deve essere applicata), escludo altresì che si possa pensare ad un pensionamento anticipato e indistinto, anch’esso impossibile in tempi di crisi come questo visti i costi esorbitanti che la decisione comporterebbe. Resta ancora solo la possibilità – concessa dalla legge – di avviare i 15mila “prescelti” verso la mobilità, garantendo loro per due anni uno stipendio ridotto all’80% del totale. Bene (o male…), ma dopo questo periodo, a tutta questa popolazione (ancora, almeno formalmente) attiva, cosa succederà? È lecito chiederselo perché, viste proprio le ulteriori “eccedenze” appunto già individuate, è abbastanza difficile pensare ad una loro facile ricollocazione, senza tener conto che se questa fosse ipotizzata in altra sede lontana da quella originale si possono già immaginare i contenziosi sindacali che ne conseguirebbero.
In qualche modo si può azzardare l’ipotesi che stando così le cose non si faccia altro che rimandare di un paio d’anni il far deflagrare vero e in tutta la sua forza del problema, con tutte gli annessi e connessi che ne conseguono. Il primo dei quali è davvero semplice da ipotizzare: un aumento consistente di persone che si affacceranno al (super)mercato del (non)lavoro, con davvero poche e ridotte speranze di venirne fuori in maniera positiva, e con tutte le ricadute negative in termini di potere d’acquisto e (soprattutto) qualità della vita. Mala tempora currunt davvero, così come corrono – e veloci – anche due anni che si prospettano da vivere (pericolosamente) appesi al filo di una precarietà incombente. Ma forse esagero, e qualche volta eccedo con il pessimismo…