Siamo a corto di risorse? C’è un Secondo Welfare che avanza

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Da tempo si parla di crisi del welfare-state dovuta alla mancanza di risorse economiche e dalla difficoltà dello Stato di rispondere ai bisogni crescenti e diversificati dei cittadini. Il Secondo Welfare è la risposta a questa crisi perché è un terreno fertile di sperimentazione di modelli gestionali e finanziari nuovi, a partire dagli attori della società civile, che si mobilitano e si attivano a supporto dello Stato, e dalla collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore. Nei giorni scorsi è stato presentato il Primo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia. Vediamo insieme i punti salienti.

12 Dicembre 2013

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Francesca Battistoni

Da tempo si parla di crisi del welfare-state dovuta alla mancanza di risorse economiche e dalla difficoltà dello Stato di rispondere ai bisogni crescenti e diversificati dei cittadini. Il Secondo Welfare è la risposta a questa crisi perché è un terreno fertile di sperimentazione di modelli gestionali e finanziari nuovi, a partire dagli attori della società civile, che si mobilitano e si attivano a supporto dello Stato, e dalla collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore. Nei giorni scorsi è stato presentato il Primo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia. Vediamo insieme i punti salienti.

Il Secondo Welfare, meglio conosciuto in Europa come welfare mix, o welfare community èil movimento di iniziative associative, filantropiche e di sperimentazioni di quasi mercato, che ha svolto un ruolo importante nell’attutire le conseguenze della crisi e che è destinato ad affiancarsi al primo welfare grazie al contributo degli attori della società civile.

In Italia è stato presentato il 28 Novembre il Primo Rapporto sul secondo welfare, alla presenza del Ministro del Welfare Enrico Giovannini. Il documento è frutto del lavoro biennale di Percorsi di secondo welfare, progetto realizzato dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano.

Il progetto è anche sostenuto da Corriere della Sera, Ania, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo, Fondazione con il Sud, Kme, Luxottica e, dal 2013, anche da Fondazione CRC e Fondazione Cariparo.

Ma perché lo chiamiamo Secondo welfare?

L’aggettivo «secondo» ha un duplice significato:


> temporale: si tratta di forme che s’innestano sulla concezione del «primo» welfare tipica dello Stato nel corso del Novecento;

> funzionale: il secondo welfare si aggiunge agli schemi del primo, integra le sue lacune, ne stimola la modernizzazione sperimentando nuovi modelli organizzativi, gestionali, finanziari e avventurandosi in sfere di bisogno ancora inesplorate dal pubblico.

Attenzione che, come specificato nel rapporto, dire “Secondo Welfare” non equivale a proporre la sostituzione di spesa pubblica con spesa privata. Si tratta piuttosto di mobilitare e usare le risorse in modo razionale ed efficiente per soddisfare i bisogni crescenti dei cittadini. Il primo welfare non viene messo in discussione nella sua funzione redistributiva e produttiva di base, ma solo integrato dall’esterno laddove vi siano domande non soddisfatte.

Come sostiene De Sanctis, Direttore del Centro Einaudi:“L’idea che la protezione dai rischi – di perdita del lavoro, malattia, povertà – sia un problema sociale, che deve pertanto trovare soluzione collettiva e non essere lasciato al caso e alle fortune o sfortune dei singoli, non significa che tale protezione debba essere tutta a carico dello Stato o del settore pubblico in generale. Il che si declina in almeno due accezioni: la prima, che la protezione per essere efficace deve avere come obiettivo l’empowerment, la capacitazione dell’individuo, e dunque prevedere una sua partecipazione attiva in tutti i casi in cui ciò sia realisticamente praticabile; la seconda, che una molteplicità di soggetti profit e no profit possano e anzi debbano essere coinvolti e giocare un ruolo negli schemi di protezione”.Vediamo ora insieme i punti salienti del rapporto.

Rilevanza Economica

Il Secondo Welfare ha già raggiunto una rilevanza economica, finanziaria e occupazionale di tutto rispetto perché è una realtà che incide direttamente e concretamente sulle condizioni di vita di milioni di italiani di ogni età. Le cooperative sociali sono più di 11.000, più di 6.000 le Fondazioni. Spiccano le Fondazioni di origine bancaria, che dispongono di un patrimonio di 42 miliardi di euro che nel 2012 hanno permesso di erogare quasi 1 miliardo di euro tra- mite 22.000 interventi; di questi poco meno della metà, sia in termini di interventi che di somme erogate, è andata a settori direttamente riconducibili all’ambito del welfare. Inoltre, oltre l’80 per cento delle aziende italiane con più di 500 dipendenti ha avviato una qualche iniziativa di welfare aziendale, e ben il 43 per cento offre almeno due tipi di interventi di welfare per i propri lavoratori.

La spesa sociale non pubblica in Italia è pari al 2,1% del Pil, al di sotto di Svezia (2,8%), di Francia e Germania (3%), del Belgio (4,5%) e di Regno Unito (7,1%) e Olanda (8,3)%. Il terzo settore, che rimane un pilastro del secondo welfare, contribuisce per 67 miliardi al Pil nazionale (4,3%) e coinvolge oltre 300.000 enti/organizzazioni non profit, 4,8 milioni di volontari, 681.000 dipendenti, 271.000 collaboratori per un totale di 5,7 milioni persone. Spiccano esempi in tutta Italia (dalla finanza sociale alle fondazioni di comunità, dalle reti territoriali di conciliazione al social housing) in cui la collaborazione fra più attori consente alle comunità locali di attutire le conseguenze della crisi. Il futuro del settore sarà sempre più fondato su collaborazioni trasversali fra pubblico, privato e privato sociale e fra attori nazionali e sovra-nazionali.

 Copertura Aree di Bisogno

Le iniziative di secondo welfare colmano almeno parzialmente i rischi sociali più trascurati dal modello italiano di welfare pubblico: la conciliazione vita-lavoro, la non auto- sufficienza, la povertà e l’esclusione sociale, il disagio abitativo.

Nell’ambito delle politiche abitative, la sinergia tra primo e secondo welfare si traduce nel passaggio dall’edilizia residenziale pubblica all’edilizia sociale. Per esempio lo Sharing Hotel Residence è un’innovativa struttura di housing sociale realizzata a Torino nel 2011 per rispondere alle esigenze di ospitalità temporanea in città, a costi calmierati, con un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale e all’efficienza energetica. Il progetto è stato realizzato grazie a una partnership tra diversi attori (Fondazione Crt, Sharing Srl, Oltre Venture, ecc.). Sharing Hotel riesce a dare risposta alle esigenze abitative più differenziate, che spesso non trovano risposta nel mercato immobiliare privato a causa della temporaneità della permanenza (ad esempio lavoratori e studenti fuori sede) o di problemi economici (25 appartamenti sono riservati al Comune che li destina a cittadini in emergenza abitativa). Una delle principali finalità del progetto è quella di creare una comunità tra gli inquilini, in modo che possano sostenersi vicendevolmente attraverso la condivisione di spazi comuni e di numerosi servizi (doposcuola, sportello lavoro, ecc.) spesso aperti anche agli abitanti del quartiere. Sharing è anche parte del progetto di riqualificazione urbana che coinvolge l’intero quartiere, Pietra Alta, una zona popolare alla periferia nord di Torino. Lo stesso edificio è un esempio di recupero edilizio: una ex foresteria delle Poste inutilizzata da 20 anni che difficilmente sarebbe potuta essere convertita a nuovo uso o venduta sul mercato immobiliare.

 Una nuova Governance

Il secondo welfare prevede soluzioni innovative sul piano degli strumenti, dell’organizzazione e della governance. Sempre più costrette dai vincoli finanziari, alcune istituzioni hanno intrapreso incisive operazioni di razionalizzazione dei propri modelli di spesa e si sono industriate per mobilitare l’impegno dei propri territori, anche sotto il profilo finanziario;

Pensiamo ai contratti di rete, ai patti per lo sviluppo, ai bandi regionali dedicati proprio alle piccolo e medie imprese.

Un esempio qui potrebbe essere il   social bond Ubi Comunità : si tratta di titoli obbligazionari che oltre a garantire un ritorno sugli investimenti effettuati offrono ai sottoscrittori la possibilità di sostenere iniziative caratterizzate da un alto valore sociale. Il primo tipo di social bond prevede la devoluzione ad associazioni, fondazioni, scuole, università e ospedali di una parte dell’importo collocato, normalmente lo 0,5%. I soggetti beneficiari devono essere realtà conosciute e radicate nei territori oltre a possedere la stabilità di cash flow e un adeguato merito creditizio. Il secondo modello dei social bond promossi da Ubi Banca prevede che tutto l’importo raccolto attraverso il prestito obbligazionario sia usato per finanziare iniziative di imprenditoria sociale, preferibilmente collegate a realtà aggreganti e operanti in specifiche aree o settori.

Grazie alla vendita dei social bond è possibile costituire plafond destinati all’erogazione di finanziamenti a medio-lungo termine a condizioni competitive per consorzi, imprese e cooperative sociali. Diversi altri soggetti, ad esempio Banca Prossima, hanno lanciato iniziative analoghe.

 Il Valore Sociale

Famiglia e minori, anziani e persone con disabilità sono i principali destinatari delle prestazioni di welfare locale: su queste tre aree di utenza si concentra quasi l’83 per cento delle risorse impiegate nel secondo welfare. Pur nel quadro ristretto delle loro possibilità, i Comuni si sono insomma sforzati di colmare i vuoti lasciati dal Governo centrale.

Dal Rapporto emerge che di fronte alla crisi, anziché indietreggiare, molti Comuni hanno intrapreso un percorso di rinnovamento.

Rispetto alla tradizione i Piani di zona vengono utilizzati in modo nuovo: si adotta una programmazione partecipata e allargata a un’ampia gamma di attori, si passa dalla logica dei tavoli a quella dei processi, si lavora non più su uno specifico obiettivo, ma in modo trasversale.

Per esempio il progetto Reciproca solidarietà e lavoro accessorio avviato nel 2010 nel Comune di Torino ha sperimentato una schema di assistenza ai disoccupati coinvolgendoli in attività promosse da enti senza fini di lucro che abbiano come riferimento la «cura della comunità»; i partecipanti al progetto vengono retribuiti utilizzando lo strumento dei voucher per il lavoro accessorio. Il «Fondo emergenza lavoro», promosso nel 2009 dalla Fondazione della Comunità del Novarese in collaborazione con Fondazione Banca Popolare di Novara, sindacati (Cgil, Cisl, Uil), Prefettura, Provincia, Comune e Diocesi di Novara, ha sperimentato forme di aiuto a famiglie vulnerabili integrando il sostegno economico in caso di disoccupazione con forme di aiuto per fronteggiare i problemi abitativi.

C’è sicuramente ancora tanto da lavorare in materia di Secondo Welfare: le disparità territoriali Nord-Sud sono evidenti, c’è la difficoltà di fare sistema, i meccanismi di monitoraggio e valutazione sono ancora troppo deboli e a volte c’è il rischio che lo sviluppo di iniziative dal basso divenga l’alibi per non ricalibrare le risorse dello Stato e per non far rispettare i livelli minimi di servizio su tutto il territorio nazionale.

Il Rapporto però è sicuramente un primo grande passo verso un nuovo modello di armonizzazione delle risorse pubblico-private, che possa far fronte ai crescenti problemi sociali del nostro Paese.

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