Dall’IGF di Atene: Servono gambe regolamentari robuste per la rete
Fiorello Cortiana – Componente del comitato Consultivo sulla Governance di Internet
Internet nasce come una comunità costruita dal basso, una comunità libera per definizione e proprio in questa libertà trova il suo successo. Perché, dunque, la necessità di un "governo" della rete?
26 Ottobre 2006
Fiorello Cortiana – Componente del comitato Consultivo sulla Governance di Internet
Internet nasce come una comunità costruita dal basso, una comunità libera per definizione e proprio in questa libertà trova il suo successo. Perché, dunque, la necessità di un "governo" della rete?
Innanzitutto, da un punto di vista storico-antropologico, occorre ricordare che ogni struttura collettiva, fatta da persone, interessi e azioni mosse da ragioni diverse chiede di essere governata. E se ciò non avviene entra in gioco un meccanismo che determina un governo "de facto" che è tra i più iniqui e prepotenti possibile. Nel caso di internet è proprio questa la situazione che stiamo attualmente vivendo: non è che non esistono delle regole…esistono eccome! Sono quelle regole non scritte ma dettate da chi può disporre dell’accesso, della proprietà intellettuale, dei sistemi di sicurezza e della supremazia culturale, tanto per restare ai quattro temi del Forum di Atene. In secondo luogo, si sente la necessità di un governo reale quando le regole della rete si incontrano (e si scontrano) con gli orientamenti e le leggi dei singoli Stati nazionali. Di fatto, ad oggi, la gestione è demandata all’ICANN che, pur essendo un organismo rappresentativo di 15 nazionalità ed oltre, rimane un organo domiciliato negli Stati Uniti, con un preciso accordo con il Governo di quella Nazione e con una serie di vincoli dati dalle leggi Statunitensi. Il che rappresenta un problema quando si tratta di governo globale della rete.
Potremmo dire, quindi, che l’esigenza di governo nasce dalla volontà di salvaguardare questa libertà?
Assolutamente sì, e non credo che sia un assunto così scontato. Generalmente si governa un sistema per mantenere o ripristinare uno stato di equilibrio. Il sistema politico è turbato dal meccanismo di funzionamento della rete e quindi cerca di riportarlo sotto il suo controllo, dunque questo potrebbe essere uno dei motivi. D’altra parte, però, non possiamo dimenticare che quelle potenzialità di libertà, di cittadinanza piena e di accesso, con le quali viene caratterizzata la rete, non sono automatiche, ma vanno cercate e volute o, per lo meno, garantite. Mi sembra importante sottolineare la differenza tra il "governo", che lei ha messo tra virgolette, e la "governance". Quest’ultimo termine, infatti, può essere inteso come il governo "de facto", ossia il prodotto di accordi, di protocolli, di leggi e di prassi. In realtà, ciò che si cerca per la rete è questo – e non tanto un capo che decida chi è dentro e chi è fuori – ed è questa distinzione che giustifica il perché ci si debba occupare e si stia cercando di occuparsi della governance di internet.
Come si è arrivati al Forum di Atene?
Per prima cosa bisogna ricordare che non si tratta di un summit, come i due incontri precedenti di Ginevra e Tunisi, ma di un Forum vero e proprio e il nocciolo della questione è proprio qui.
Ginevra e Tunisi erano due sessioni di un vero e proprio summit, che mirava ad ottenere delle risoluzioni e dei documenti ufficialmente condivisi che fossero in qualche modo vincolanti. Ovviamente, data la complessità della vicenda e gli interessi economici e politici in gioco, non si è arrivati ad una visione condivisa su chi deve governare la rete. Nonostante la sensazione di positività rilevata da tutti i partecipanti, uno tra i problemi su cui si incagliò il dibattito fu proprio quello relativo all’ICANN, che fece naufragare l’ipotesi di un accordo. Ciò che di buono uscì da quell’incontro fu, però, l’idea di proseguire su questa strada non più nella forma del summit istituzionale, ma di incontro multi-stakeholder, un vero e proprio forum appunto. È vero che questo seme era già presente a Ginevra, ma, nonostante la partecipazione di una moltitudine di portatori di interessi, la rappresentanza era stabilita comunque dalle delegazioni ufficiali. Questa volta tutti avranno pari dignità e chiunque verrà accreditato ed ammesso al dibattito, indipendentemente dalle delegazioni istituzionali.
Quali sono gli obiettivi dell’incontro?
Ovviamente, se quelli di Ginevra e Tunisi erano la produzione di risoluzioni o documenti condivisi ad Atene non sarà così. Potrebbe sembrare una scelta al ribasso, che ridimensiona l’evento, ma in realtà si tratta di un percorso in direzione di una maggiore serietà ed autorevolezza. Si punta ad accrescere il valore di questa iniziativa programmando cinque incontri nell’arco di un quinquennio. E’ ovvio che l’obiettivo generale resta quello della condivisione di intenti e di regole, al tempo stesso vi è però la consapevolezza che queste condivisioni non si possono trovare nell’arco di una giornata o di una settimana, ma occorre raggiungerle per approssimazioni successive. Qualora si riuscisse a far prendere atto di una convergenza su determinate questioni (nel nostro caso i quattro punti del Forum), per concretizzarle in maniera ufficiale l’ONU avrebbe a disposizione numerose strutture.
Potremmo definire questo incontro una PrepCom (Preparatory Committee) o un momento conviviale in cui, però, i trenta workshop cominciano a diventare una certificazione. Se si organizza un incontro su un tema e vi partecipano centinaia di interlocutori da tutto il mondo, allora vuol dire che la convinzione che su quel tema esista un problema è condivisa.
Quale sarà il contributo del nostro Paese al Forum?
Il peso del nostro Paese sarà maggiore di quanto si possa pensare. Oltre a portare il nostro contributo scritto sui quattro temi, frutto anche della consultazione online voluta dal Ministro Nicolais e dal Sottosegretario Magnolfi, infatti, l’Italia avrà l’importante ruolo di patrocinare uno degli appuntamenti può rilevanti del Forum. Si tratta di una proposta lanciata da me e dal Presidente del Comitato Consultivo sulla Governance di Internet, Stefano Rodotà, per la stesura di una "Bill of rights": una Carta dei diritti della rete. Questo workshop, già promosso a Tunisi con un’iniziativa della sola delegazione italiana, quest’anno è stato accolto dall’Organizzazione come uno dei trenta workshop ufficiali e gli è stato assegnato lo spazio più grande in un orario che non si accavalla con quello di nessun altro incontro. Quindi un rilievo notevole.
Ad Atene, probabilmente, presenteremo un documento in cui proveremo ad individuare gli ambiti e le questioni sulle quali dovrebbe concentrarsi questa carta, più che definirne il merito. Ciò che ci interessa, infatti, è costruire un processo partecipato dagli stati nazionali, dall’Europa e dalle Nazioni Unite e forzare ora il merito di un documento così importante sarebbe uno sbaglio ed un atto di presunzione. Qualora l’iniziativa prendesse una piega più forte la stesura dovrebbe essere lasciata alla mediazione diplomatica, ma già definire le questioni e i temi, ponendo le domande giuste, contribuirebbe a definirne il senso.
Fermandoci un attimo sull’esperienza di consultazione avviata dal Ministro Nicolais e dal Sottosegretario Magnolfi… All’assise virtuale se ne è affiancata una fisica, come se non si fosse sicuri delle potenzialità comunicative di internet. Può confermare questa sensazione o vi legge altre motivazioni?
Indubbiamente tutta l’iniziativa si è rivelata un’esperienza partecipata e proficua e la sua sensazione credo sia sbagliata. Per quanto mi riguarda, tutte le mie passate esperienze, compresa quella come amministratore della mia regione, mi hanno insegnato che la dimensione virtuale non sostituisce quella fisica, ma anzi spesso contribuisce a promuoverla ed è propedeutica ad essa. Se ci pensiamo bene, infatti, attraverso la rete spesso si viene a conoscenza di appuntamenti e di eventi, si ha modo di informarsi e di conoscere persone ed iniziative e si può essere indotti alla partecipazione e all’incontro fisico. La discussione online non può essere sostitutiva di quella "de visu" perché nella prima manca la dimensione relazionale. L’incontro fisico quindi è stato molto utile, non perché sia stato inutile quello virtuale, ma perché è stato un momento in cui si è condensato tutto ciò che era stato fatto a monte.
È un ridimensionamento dell’e-Democracy e dell’e-Partecipation quindi?
No, non è assolutamente un ridimensionamento. Secondo me, è l’interpretazione che troppo spesso si fa passare di questi due aspetti del governo elettronico che non va. Entrambe queste forme sono parte del processo democratico più ampio, quello senza la "e" iniziale. Non si tratta di esclusione o di predominanza di un aspetto sull’altro, ma di una complementarietà effettiva in virtù della quale, a volte, l’uno può precedere l’altro e viceversa. È un processo circolare.
Rispetto ai quattro temi di cui si discuterà durante il Forum, a che punto è l’Italia?
Direi che in qualche modo nella scorsa legislatura c’è stata un’attenzione che però si è concretizzata in un "vorrei ma non posso". Per riprendere un’espressione che usai in un dibattito televisivo, Stanca che doveva avere mansioni di commissario delle acque si è ritrovato a dover fare l’idraulico. Gli si è chiesto, cioè, di risolvere i dettagli tecnici senza coinvolgerlo a monte delle decisioni, ed un caso emblematico è senz’altro la Legge Urbani. Senza dubbio ci sono state suggestioni utili ed interessanti e l’aspetto più rilevante, che abbiamo condotto con continuità, è stato proprio quel tavolo multi-stakeholder che ha accompagnato la delegazione italiana da Ginevra a Tunisi. Tutto il resto, però, è stato fatto passare in sordina, e anche le norme emanate, in molti casi, sono restate lettera morta. Oggi ho l’impressione che, pur relativizzando il Ministero dell’Innovazione alla Pubblica Amministrazione, ci siano le condizioni per dare le gambe giuridiche a questa innovazione, se non altro perché la PA è un elemento altamente pervasivo di tutto il Sistema Paese.
La rete è veramente uno strumento di democrazia o, come accennava Vittorio Bertola all’incontro, è una scala mobile accelerata, dove gli ultimi resteranno sempre gli ultimi, dato che i primi sono irraggiungibili?
Credo che la metafora sia stata male interpretata. Ora non voglio mettere le parole in bocca a Bertola, ma credo che il discorso sia l’esatto opposto. È proprio il modello di interconnessione in rete, infatti, che garantisce la democrazia. La frase di Bertola va quindi interpretata nel senso che se non riusciamo a riconoscere alla rete la valenza di "bene comune" e non riusciamo a dotare questo bene comune di gambe normative robuste, allora è evidente che avremo una forbice insuperabile. Ma se, invece, si lavora per costruire politiche pubbliche ed amministrative affinché ciascuno possa godere delle stesse pari opportunità per accedervi, allora è diverso. È questa la vera sfida del Forum di Atene e di tutto quello che abbiamo di fronte.