Nel percorso Restart Italia, Gianni Dominici intervista Daniele Manni – Professore di Informatica presso l’Istituto Galilei Costa Scarambone di Lecce – che si è assunto il compito di applicare una metodologia didattica innovativa orientata all’imprenditorialità
20 Ottobre 2020
Redazione FPA
La scuola, così come tante nostre istituzioni, ha reagito in maniera diversa all’emergenza covid-19. Abbiamo visto scuole pronte ad affrontare la sfida della didattica a distanza, altre che invece sono arrivate in ritardo.
Per una valutazione su come il sistema scolastico ha affrontato il lockdown, in questa puntata Gianni Dominici intervista Daniele Manni, Professore di Informatica presso l’Istituto Galilei Costa Scarambone di Lecce, considerato uno dei 10 professori più innovativi al mondo per essersi assunto il compito di applicare una metodologia didattica orientata all’imprenditorialità.
A Lecce si insegna creatività e il pensiero creativo è fondamentale per la risoluzione dei problemi, come ci insegna Alex F. Osborn con il suo libro “L’arte della creativity. Principi e procedure di creative problem solving”.
L’intervista
Daniele Manni ha un passato da imprenditore e un presente da professore. Nel 1999 decide di lasciare totalmente l’attività imprenditoriale e di portare il know-how aziendale dentro la scuola, iniziando a non seguire i programmi ministeriali. In quegli anni gli si chiedeva di spiegare linguaggi informatici defunti all’esterno della scuola e non sempre del tutto comprensibili dai ragazzi. È stata quella la chiave di volta per creare uno spazio ricco di stimoli.
“La particolarità della nostra didattica – afferma Manni – (e questo probabilmente è anche il motivo per il quale nel confronto con le università internazionali ci distinguiamo) è che non spieghiamo imprenditorialità alla lavagna o attraverso un libro. Il secondo giorno di scuola alle prime classi chiedo di inventare con creatività, con intraprendenza, un nuovo servizio, un nuovo prodotto da mettere sul mercato o di migliorare quelli già esistenti”.
I ragazzi da quel momento in poi, attraverso il brainstorming, cercano l’idea geniale. Sono tante le iniziative emerse negli anni e Manni porta uno degli ultimi esempi: la creazione di una t-shirt con la scritta “Salento loves me”, che comunica una trasposizione rovesciata del cittadino rispetto al territorio. Non è più la persona che ama la città, ma è il territorio che ama chi indossa quella maglietta.
“All’inizio pensavo – continua Manni – di creare 24 imprenditori su una classe di 24 alunni, ma ben presto mi sono reso conto che non era così”. Imparare a fallire è parte del gioco, dell’educazione all’imprenditorialità.
E i ringraziamenti ricevuti dagli alunni, anche dopo il percorso quinquennale nella scuola, per aver appreso le soft skills del problem solving e quella mentalità pronta a risolvere i problemi, sembrano avvalorare questa idea di didattica innovativa.
“Ho riscontrato dalle risposte che avevano acquisito tutta una serie di competenze trasversali che oggi servono nel mondo del lavoro, quali la fiducia nelle proprie capacità, la capacità di lavorare in gruppo e la gestione del fallimento”.
L’imprenditore non può permettersi di non essere creativo, ma il sistema scolastico italiano lascia pochissimo spazio alla creatività. Ogni tanto però la burocrazia risponde con lungimiranza e quattro anni fa il MIUR ha selezionato 100 scuole in cui applicare una sperimentazione quadriennale.
“Abbiamo – dice Manni – presentato un progetto innovativo che seguiva quello che facevamo in classe e non quello che ci veniva chiesto dai programmi ministeriali. Abbiamo introdotto nell’indirizzo quadriennale materie alternative tra cui creatività, change making, comunicazione”.
Per poter essere creativi bisogna essere dei ribelli? È corretto pensare (citando il libro “Talento ribelle. Perché infrangere le regole paga (nel lavoro e nella vita)” di Francesca Gino) che l’innovazione sia una disubbidienza riuscita?
Gli insegnanti hanno questa libertà assoluta di poter fare emergere una serie di successi disubbidendo al sistema scolastico, non strettamente controllato perché ritenuti professionisti della scuola.
Le soft skill fanno la differenza anche durante le emergenze. Infatti, afferma Manni “sono rimasto colpito favorevolmente dai docenti, perché non mi aspettavo una tale capacità di resilienza in cui tutti i colleghi dal nord al sud, dalla scuola elementare alle superiori, in così poco tempo sono riusciti a trasformare la didattica in presenza in una didattica a distanza”.
Abbiamo bisogno di un paese che governi il proprio futuro, come può la scuola svolgere un ruolo attivo in questo?
Manni chiude dicendo “a me piace immaginare la scuola come una palestra di stimoli”. Occorre una scuola che sia una struttura abilitante, che punti su una visione studente-centrica.