Donne in digital divide, sconfiggere a scuola un ritardo che fa male all’Italia

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Lo sviluppo delle competenze digitali a scuola dovrebbe tener conto del divario di genere che è ancora molto presente nell’ambito digitale, sia in termini di competenze di base che di competenze specialistiche, con un danno sociale ed economico molto elevato

25 Novembre 2016

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Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione

Lo sviluppo delle competenze digitali a scuola dovrebbe tener conto del divario di genere che è ancora molto presente nell’ambito del digitale, sia in termini di competenze di base che di competenze specialistiche, con un danno sociale ed economico molto elevato. L’attenzione alla diffusione di una cultura che superi pregiudizi e logiche distorte (soprattutto nella popolazione maschile) e renda attrattivo lo sviluppo delle competenze digitali (soprattutto nella popolazione femminile) diventa, così, essenziale.

Secondo i dati dell’ITU ( International Telecommunication Union ) l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di ICT, nel mondo il divario tra uomini e donne in rete è di oltre 200 milioni (rapporto 2016) e la tendenza è di incremento del gap, in mancanza di interventi. Sempre secondo i dati dell’ITU, solo il 19% dei manager ICT sono donne , rispetto alla media del 45% degli altri settori e soltanto il 9% degli sviluppatori di app sono donne. E, guardando nello specifico all’Europa, i numeri non sono migliori: solo il 3% delle ragazze in Europa si laurea in discipline informatiche. In Italia il gap è maggiore che in Europa: nel nostro Paese la percentuale di chi non ha mai utilizzato Internet è del 32% per le donne e del 23,6% per gli uomini, con un divario invariato rispetto all’anno precedente, mentre in Europa il divario è in media inferiore al 4% .

Le diverse manifestazioni di un problema culturale

La situazione disastrosa in cui è oggi il tema delle pari opportunità, soprattutto nell’ambito dei generi, è specchio fedele di questa involuzione. E le manifestazioni di questo disastro, focalizzando l’attenzione in particolare sull’ambito dell’ICT e del digitale, sono a più livelli, ad esempio:

  • nel linguaggio, dove continua il predominio “maschile”. Non solo nelle metafore “belliche” di qualsiasi iniziativa di evoluzione e di cambiamento, ma anche negli appellativi e nei titoli spesso declinati solo al maschile anche quando la stessa grammatica nazionale di stampo maschile non lo richiede (es. l’uso del termine “direttore” anche per una donna direttrice). Nell’ambito politico dobbiamo rilevare positivamente che le iniziative sistematiche della Presidente Boldrini stanno producendo qualche risultato, così come anche l’attenzione mostrato recentemente dalla realizzazione di dizionari “di genere”;
  • nelle attività di comunicazione, dove la presenza femminile continua ad essere un’eccezione e sono ancora tanti gli eventi su temi di ICT e digitale in cui le relatrici sono semplici testimonianze o del tutto assenti (come ha tra l’altro evidenziato la rete Wister);
  • nel lavoro, dove l’essere donna è un disvalore che porta a retribuzioni più basse, come è evidente in tutti i campi e che persiste, anche se in misura minore, nell’ICT. A parità di competenze ed esperienze, in Italia nel settore ICT il divario è intorno al 15%, secondo l’ultima rilevazione 2014 dell’Osservatorio per le Competenze Digitali , in linea con il divario registrato nella media delle retribuzioni Europee. In un ambito in cui, sempre secondo l’ITU, c’è una sproporzione netta man mano che si risale la piramide aziendale: solo il 19,2% dei lavoratori nel settore delle ICT ha un capo donna , contro il 45,2% in altri settori. E in questo campo è sicuramente importante l’iniziativa ONU “ HeforShe” che ha portato alcune organizzazioni a impegnarsi pubblicamente per piani specifici per le pari opportunità.

Nel sistema educativo, in particolare, dove predomina l’idea che scienza e tecnica siano di genere maschile (e le materie letterarie siano di genere femminile), a tal punto che, nonostante le diverse iniziative di successo sviluppate da più organizzazioni per promuovere l’ICT tra le bambine e le ragazze, queste vedano la propria carriera scolastica più indirizzata verso le materie umanistiche. Non è un caso che anche le prove Invalsi evidenzino questa tendenza, con le studentesse che superano anche in modo consistente gli studenti nelle prove letterarie mentre avviene il viceversa per la matematica, con una tendenza che porta poi alla divaricazione spinta tra laureate e laureati nelle discipline scientifiche . Qui, secondo il Rapporto ITU, solo 29 laureate su 1.000 provengono da corsi legati alle ICT (gli uomini sono 95 su 1.000) e solo 4 su 1.000 lavorano effettivamente nel settore.

In Italia, se consideriamo l’epifenomeno dell’utilizzo di Internet, dai dati Eurostat vediamo come il divario tra maschi e femmine che non hanno mai utilizzato Internet sia rimasto pressoché invariato dal 2005 a oggi-ultima rilevazione 2015 (passando dal 10,4% all’8,4%), mentre la media europea registra una riduzione significativa (dal 7% al 3,7%), con i Paesi europei ad economia avanzata (e non solo) tutti con un divario al di sotto del 5%. Il problema è quindi sicuramente internazionale e anche europeo, ma in Italia appare certamente molto significativo.

Quale strada per invertire la rotta?

Bisogna passare dalle iniziative isolate di contrasto al divario di genere a un approccio organico , a una politica ampia e capillare che guardi a tutti gli aspetti che compongono il gap. Un divario che ha senz’altro una base culturale ma che si rafforza con la necessità di preservare e conservare posizioni di potere.

Per questa ragione l’intervento a scuola è fondamentale, perché pone le basi per un cambiamento culturale pervasivo in grado di fronteggiare anche le dinamiche che portano alla violenza contro le donne di cui questa è la settimana internazionale.

Come si rileva dall’ultimo “ Gender Equality Eurobarometer ”, il Rapporto Europeo sull’eguaglianza tra uomini e donne, la percezione di quanto sia importante eliminare la disparità di trattamento economico tra uomini e donne è in Italia tra le più basse in Europa (29%) e l’unico fattore che viene riconosciuto davvero prioritario è quello relativo alla violenza contro le donne (63%). Segnale di un problema sentito e ben presente, ma anche della sostanziale disattenzione (o sottovalutazione) per il fenomeno sociale della discriminazione in ambito lavorativo. Disattenzione che è testimonianza di un problema poco avvertito come importante, a prescindere dalla sua reale dimensione: in Svezia, ad esempio, il tema del divario economico è generalmente considerato molto importante (79%), nonostante la sua dimensione molto ridotta (l’estremo opposto è La Bulgaria, con un divario molto alto e una sensibilità al fenomeno molto bassa).

Sulla stessa linea l’Italia, quart’ultima in Europa secondo il GEI (Gender Equality Index ), l’indice per l’eguaglianza di genere soprattutto per il forte divario in ambito lavorativo (dimensione “work”), di conoscenza (dimensione “knowledge”), e nelle posizioni decisionali nelle organizzazioni e in politica (dimensione “power”). Anche in Italia, all’elevata dimensione del divario corrisponde una scarsa percezione dell’importanza del fenomeno . E per invertire la tendenza, da qui bisogna anche partire. Certamente con forzature normative: la norma è sempre un messaggio culturale e politico di importanza fondamentale perché afferma la presenza di principi che devono indirizzare i comportamenti. In questo senso, ben vengano gli statuti cittadini e regionali che costringono all’eguaglianza di genere nelle giunte delle amministrazioni, così come le leggi che intervengono sulla composizione dei consigli di amministrazione.

Questa è una delle ossessioni vitali che deve pervadere ogni iniziativa che si vuole innovatrice e di cambiamento. Perché il cambiamento culturale avviene anche con la coltivazione paziente di un nuovo paradigma , la cui forza dipende dalla diffusione non superficiale, mediatica e di trend, ma profonda, nelle convinzioni, radicata.

E in questo tutti noi abbiamo una responsabilità diretta, nelle nostre attività, nelle nostre iniziative di innovazione, nel cambiamento che vogliamo realizzare.

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