Educazione all’informazione e biblioteche scolastiche: i nodi da sciogliere

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Serve un’”educazione all’informazione” e ai documenti. il PNSD ha previsto delle biblioteche scolastiche con un ruolo per promuovere e supportare l’information literacy degli studenti. Alcuni nodi restano però da sciogliere

10 Giugno 2016

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Laura Ballestra, Biblioteca LIUC Università Cattaneo, delegata AIB per la Coalizione Competenze digitali

Qualche giorno fa assistevo alla presentazione finale di un progetto di rifunzionalizzazione di un’area industriale da parte di ragazzi del IV anno di una scuola di geometri, progetto seguito ad uno studio approfondito sul contesto storico, culturale e tecnologico dei siti di archeologia industriale. Avevo seguito i ragazzi nella fase inziale mesi prima, quando imparavano, attraverso un processo di ricerca documentale guidato ( enquiry based research process ) [1] , come focalizzare ambiti, trovare domande interessanti e i documenti in cui cercare risposte. I risultati sono stati rilevanti: i ragazzi sono stati professionali, non banali sui contenuti e “digitali” come è naturale per un diciottenne di oggi. Grazie al lavoro degli insegnanti si era investito su cio’ che è fondamentale: trovare domande a partire da buone fonti, leggere libri non banali, ossia saggistica scientifica, fare ipotesi, trovare soluzioni, imparare a ricercare. Si era intesa la parola ricerca non come reperimento meccanico di informazioni da recuperare attraverso vari strumenti, ma come processo che si può imparare a svolgere nelle sue fasi se viene insegnato e se si dà attenzione a quali documenti impiegare. Creazione collaborativa dei contenuti e classi rovesciate sono usuali in un processo di ricerca guidato e quindi c’erano state. Perché questa considerazione in relazione al confronto che si è tenuto all’interno del recente incontro di Roma del “Cantiere scuola digitale”? Perché ci sono alcune priorità che non devono sfuggire se si vuole davvero arrivare ad un cambiamento che metta a frutto le opportunità di una grande quantità di rilevanti informazioni digitali prodotte, impedendo il crearsi di divari penalizzanti per le “non elite” [2] . Al tavolo relativo alla creazione di contenuti digitali nel PNSD si è parlato anche di lettura dei ragazzi e di buone fonti, di capacità per gli studenti di imparare a selezionare i testi da leggere come qualcosa di non scontato, di informazioni e documenti e di guide alla loro scoperta.

Il PNSD cita più volte la competenza informativa e documentale dei ragazzi come un obiettivo primario : “ […] è essenziale lavorare sull’alfabetizzazione informativa e digitale (information literacy e digital literacy)” (PNSD, p. 29). Per accrescerla serve che tutti gli insegnanti divengano produttori e creatori o assemblatori di contenuti digitali? Non necessariamente. Serve che gli insegnanti siano supportati nell’azione di rimettere in circolo, attraverso processi di ricerca dei ragazzi prima guidati e poi sempre più autonomi, tutti i documenti importanti in un ambito disciplinare, che poi ormai sono spessissimo anche digitali, ma soprattutto la saggistica scientifica di approfondimento, veicolata dall’editoria anche in versione digitale. Le nostre ricerche indicano che la maggior parte degli studenti del V anno dichiara di fare ricerca nei cinque anni delle superiori, ma alla domanda se si sono consultati libri non indicati dagli insegnanti, il 51% dichiara nessuno, un 34% da 1 a 5. [3] Questo significa per l’85% di ragazzi del campione non avere imparato, alla fine del ciclo della scuola superiore secondaria, che per ricercare, non per trovare risposte a domande banali, servono documenti di approfondimento e serve aver imparato a cercarli e sceglierli.

Serve un’”educazione all’informazione” (così è richiamata nel recente bando MIUR sulle biblioteche scolastiche innovative sulle biblioteche scolastiche innovative , che finalmente dà ampio spazio al concetto di information literacy) e ai documenti tutti, gratuiti o meno, purché rilevanti, se parliamo di apprendimento. La gratuità si dovrebbe ottenere per i cittadini e quindi anche per gli studenti attraverso il sistema delle biblioteche.
Si obietterà che appunto il PNSD ha previsto delle biblioteche scolastiche (azione 24) con un ruolo per promuovere e supportare l’information literacy degli studenti.

Alcuni nodi restano però da sciogliere. Un piano che voglia essere davvero innovativo deve creare le condizioni reali per una continuità nelle risorse di personale e per risorse documentali da acquistare. Chi conosce la storia delle biblioteche scolastiche negli ultimi quarant’anni sa che moltissime scuole del nostro Paese, nonostante le buone intenzioni, sono oggi dotate di ottime collezioni ferme agli anni Settanta-Ottanta, un vero dramma per chi dovrebbe documentare almeno i testi fondamentali e di sintesi delle discipline oggetto di studio. I modelli di didattica cui il Piano si ispira presuppongono senz’altro un impegno economico non saltuario destinato ad acquistare libri (ripetiamo non manuali, ma i fondamentali della saggistica scientifica, che oggi sono proposti per tante discipline solo in lingua inglese, ma fortunatamente i nostri ragazzi l’inglese lo studiano).

I libri potranno senz’altro essere acquistati in digitale, prestati in digitale, acceduti tramite proxy da casa nel rispetto delle licenze come accade negli atenei da tanto tempo, ma quello che non può mancare, e al momento non si identifica come primario nel PNSD, è il perno dell’azione della biblioteca, che è il bibliotecario in quanto professionista. La disintermediazione, la storia delle biblioteche universitarie lo insegna da tanto tempo, non funzionava prima e non funziona in digitale. Quando un bibliotecario professionista svolga le sue abituali funzioni, queste funzioni comprendono naturaliter l’essere un mediatore rispetto all’informazione, che ovviamente è digitale, ma anche un animatore rispetto all’uso critico della stessa informazione, un animatore nel mondo delle informazioni tutte, con il vantaggio di un’enfasi che non è mai sul mezzo o sui contenuti, ma sulle informazioni che veicola. Gli Stati Uniti per citare un esempio, visto che il Piano suggerisce il confronto internazionale, hanno una lunghissima tradizione di modelli didattici enquiry based ma anche di bibliotecari scolastici che hanno qualifiche professionali ben definite, figure stabili, che negli anni costruiscono un servizio aperto per un numero considerevole di ore e propongono consulenze documentali, guide per la lettura e l’approfondimento, organizzano attività di valorizzazione dei documenti e della loro lettura, insegnano come svolgere processi di ricerca con una peculiare attenzione non ai contenuti e al programma, ma alle fonti e al loro impiego per trovare domande di ricerca. L’impiego da tanti anni di contenuti digitali che gli Atenei acquistano per gli studenti ha insegnato che non basta possedere migliaia di libri o articoli digitali nelle proprie collezioni, se non è prevista la figura professionale di chi quei contenuti li sviluppi ma soprattutto li “animi” con proposte, letture, guide, incontri, laboratori di ricerca, in una collaborazione sistematica con la didattica che però deve essere propositiva da parte della biblioteca. La collaborazione con gli insegnanti è ovviamente determinante, ma si tratta di un dialogo su figure che hanno compiti principali distinti. Da questo punto di vista la citazione nel PNSD delle competenze di ricerca e autoapprendimento dei docenti, che preferirei chiamare attitudini al documentarsi, in primis sulla propria disciplina, sono il miglior viatico sia per la creazione di buoni LO con contenuti autonomi e rispetto rigoroso delle fonti, che di buoni processi di ricerca guidati per gli studenti, in dialogo con il bibliotecario del XXI secolo, che è necessariamente “digitale”.



[1] Per riferimenti: Ballestra L., Cavaleri P. (2014), Manuale per la didattica della ricerca documentale, Editrice Bibliografica, 2014; Kuhlthau C., Seeking meaning , Libraries unlimited, 2004. Nel presente contributo si accoglie la definizione di information literacy (competenza informativa) di AGID, Linee guida. Indicazioni strategiche e operative, p. 153-154.

[2] CENSIS, La trasmissione della cultura nell’era digitale. Un’inchiesta sul sapere , in “Censis note e commenti”, LI, n. 10 (ottobre 2015). La tesi è che la lettura di libri intesi come contenuti strutturati, con un paratesto definito e identificante, sia un fenomeno elitario, pure se avviene in digitale – il che oggi è per la maggior parte degli editori assolutamente un’opzione possibile – e che esistano élite con specifiche caratteristiche (di educazione, reddito…) che invece hanno una dieta informativa ricca, sono sempre connessi a Internet, si muovono attraverso tutti i tipi di documenti e usano tutti i device in modo consapevole.

[3] L’articolo è in corso di pubblicazione a cura dell’autrice e riguarda un campione di 540 studenti diciannovenni coinvolti in Non solo tesine, progetto della Biblioteca LIUC dell’Università Carlo Cattaneo, condiviso con centinaia di Scuole e Biblioteche pubbliche italiane, per un totale di circa 4000 studenti coinvolti nella didattica del processo di ricerca documentale negli ultimi 2 anni scolastici.

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