Insegnamento difensivo: una possibile concausa del cattivo posizionamento italiano nel DESI 2020
La necessità di non interrompere il servizio scolastico a causa della pandemia ha spinto la maggioranza dei docenti italiani a confrontarsi con le tecnologie ICT e questa esperienza potrebbe favorire la diffusione di una didattica maggiormente digitale nelle scuole italiane. Quest’esito non è però scontato, il “ritorno al passato” resta un’opzione possibile. Il termine “insegnamento difensivo” evidenzia il rischio che la scuola italiana ceda a questa tentazione
17 Luglio 2020
Fulvio Oscar Benussi
Docente e formatore (PNSD), socio AIDR (Associazione Italian Digital Revolution)
Gli esiti di confronti internazionali evidenziano che l’arretratezza nella diffusione delle competenze digitali tra la popolazione è sostanzialmente rimasta stazionaria dal 2015. Ricerche nazionali segnalano che è diffusa tra gli insegnanti una certa ostilità culturale all’utilizzo delle tecnologie digitali nella didattica. Riteniamo ci possa essere una relazione tra quanto emerso in queste ricerche e proponiamo “l’insegnamento difensivo” come chiave per una possibile interpretazione del fenomeno.
Il DESI 2020
L’Italia retrocede quest’anno di due posizioni nel ranking dell’indice DESI relativo alla digitalizzazione dell’economia e della società. L’indice complessivo DESI, aggiornato annualmente dalla Commissione europea, viene calcolato come media ponderata delle cinque principali dimensioni DESI: connettività, capitale umano, utilizzo di Internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali.
In questo articolo concentreremo l’attenzione in particolare sulla dimensione relativa al capitale umano.
La dimensione del capitale umano DESI relativa alle competenze digitali, che può essere visualizzata in questo grafico, è calcolata come media ponderata delle due sottodimensioni:
La sostanziale stazionarietà dal 2015 delle competenze digitali del capitale umano, riteniamo possa ragionevolmente essere in parte imputata a carenze, in tale senso, della formazione scolastica.
Il documento “Result from TALIS 2018”
Dal documento, pre covid, “Result from TALIS 2018”[3] emerge che: in tutta l’OCSE, lo sviluppo di competenze in materia di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (nel seguito TIC) è un settore in cui gli insegnanti affermano di aver bisogno di una maggiore formazione, insieme all’insegnamento in contesti multiculturali/multilingue e all’insegnamento a studenti con bisogni speciali. Tra queste tre aree, gli insegnanti in Italia hanno espresso una maggiore necessità di formazione in materia di TIC per l’insegnamento.
In media in Italia, il 31% dei dirigenti scolastici riferisce che l’erogazione di un’istruzione di qualità nella propria scuola è ostacolata da una carenza o inadeguatezza della tecnologia digitale per l’istruzione (rispetto al 25% della media OCSE). Tali risultanze sono state confermate in epoca covid.
Le competenze digitali non si improvvisano. Solo gli insegnanti che già le possedevano hanno potuto svolgere la loro attività a distanza con obiettivi, metodologie e proposte didattiche capaci di valorizzare il contributo dello strumento digitale come facilitatore e amplificatore dell’apprendimento relativo alla disciplina insegnata.
Altri hanno dovuto impegnarsi a fondo sia in percorsi relativi alla propria personale formazione on line, che nella successiva predisposizione ed erogazione del loro insegnamento che spesso si è svolta riproponendo il modello della scuola tradizionale: spiegazioni dell’insegnante, compiti da eseguire autonomamente da parte degli studenti e successiva verifica. Infine altri insegnanti, fortunatamente pochi, hanno rinunciato a svolgere alcuna forma di didattica a distanza interrompendo di fatto la loro attività dalla data di inizio del lockdown[4].
Il PNSD e la ricerca CENSIS
Gli esiti DESI sembrano indicare che anche il Piano Nazionale Scuola Digitale (nel seguito PNSD)[5] non sembra essere riuscito a incidere sulla didattica curricolare in modo da permettere al nostro Paese di recuperare il distacco dagli altri Paesi europei.
Il Censis ha recentemente pubblicato una ricerca condotta in collaborazione con AGI Agenzia Italia da cui è stata tratta la tabella riportata in figura 1 (la figura 1 è tratta dalla ricerca CENSIS “Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020”).
Come si vede dalla tabella i Dirigenti scolastici lamentavano nei corsi proposti nel contesto del PNSD la “Mancanza di un modello pedagogico sottostante (con il rischio che si usino le tecnologie con un approccio tradizionale)”.
Sicuramente il “senso” di una didattica digitale non può essere quello di imparare e poi insegnare oltre alla disciplina di cui si è titolari anche dei software. È invece necessario che agli insegnanti, nei percorsi di formazione loro dedicati, vengano illustrate, e se possibile fatte provare, le potenzialità dei software proposti non come oggetti a se’ stanti, ma come strumenti a supporto dell’insegnamento disciplinare.
Un altro elemento emerso dalla ricerca Censis e indicato nella tabella in figura 1 riguarda le “Ostilità culturali” che gli insegnanti hanno nei confronti del digitale.
Pensiamo che queste “ostilità culturali” siano legate a un approccio all’insegnamento che chiameremo “difensivo”.
Nella figura 2 abbiamo schematizzato motivazioni e approcci dell’insegnamento difensivo, termine mutuato da “burocrazia difensiva” proposto nel marzo 2016 da Carlo Mochi Sismondi Presidente di FPA, che lo aveva, a sua volta, ripreso dal termine «medicina difensiva» proposto da Federico Gelli.
Insegnamento difensivo
Possiamo considerare «insegnamento difensivo» la prassi di svolgere le lezioni in modalità frontale proponendo esclusivamente contenuti tratti dal libro di testo. Questa prassi è così consolidata che è stata riproposta dalla maggior parte degli insegnanti anche nella didattica a distanza durante il lockdown.
Il perpetrarsi nel tempo di questa prassi didattica consente agli insegnanti di evitare lo svolgimento di una didattica digitale che comporterebbe il trasferimento con la classe dall’aula al laboratorio, oppure una gestione a distanza delle esercitazioni.
Invece, per evitare con i ragazzi il rischio di una delegittimazione della propria leadership dovuta ad eventuali defiance nella conduzione dell’esercitazione per insufficienti competenze tecniche, si rinuncia a proporre una didattica disciplinare sinergicamente collegata al digitale.
Relativamente all’item “Frequenti richieste del legislatore di occuparsi di nuove educazioni con nuovi, troppi obiettivi formativi” ha avuto una conferma recente con l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica a scuola. La norma prevede infatti un insieme molto vasto di contenuti da proporre a scuola mentre auspica che gli studenti possano diventare cittadini responsabili e attivi. Ma diventare cittadini responsabili e attivi è possibile se si acquisiscono competenze coerenti con tale obiettivo e non se si studiano più contenuti… [6]
Un altro elemento che caratterizza l’insegnamento difensivo è il rimpianto per il programma ministeriale che veniva indicato come insieme perentorio di contenuti da trattare in classe[7]. Il programma ministeriale, ormai concettualmente superato dalle indicazioni nazionali[8], viene ancora oggi comunque citato dagli insegnanti per arginare qualsiasi richiesta di modifica o integrazione del proprio modo di operare.
Il termine insegnamento difensivo bene evidenzia il rischio che la scuola italiana ceda alla tentazione di non volere superare la carta come unico veicolo di formazione.
Perché abbiamo proposto il termine: “insegnamento difensivo”?
La necessità di non interrompere il servizio scolastico a causa della pandemia ha spinto la maggioranza dei docenti italiani a confrontarsi con le tecnologie ICT e questa esperienza potrebbe favorire la diffusione di una didattica maggiormente digitale nelle scuole italiane.
Questo esito non è però scontato, il “ritorno al passato” resta un’opzione possibile.
In tale caso l’insegnamento difensivo riacquisterebbe credito e la storia dell’arretratezza e della resistenza del Paese al cambiamento potrebbe confermare anche in nuove valutazioni DESI i preoccupanti dati oggi emersi: “[…] il 58% degli Italiani (popolazione tra 16 e 74 anni) non possiede un livello di competenze digitali almeno di base. Quello, per intenderci, che consente di esercitare in pieno i diritti di cittadinanza ai tempi di Internet.”[9]
Uno strumento per l’autovalutazione delle scuole
Segnaliamo in conclusione dell’articolo uno strumento utile per quelle scuole interessate allo sviluppo del proprio potenziale digitale: https://ec.europa.eu/education/schools-go-digital_it
Tale strumento aiuta a rispondere alla domanda: La scuola sta utilizzando al meglio le tecnologie digitali per la didattica e l’apprendimento?
[1] le competenze utente Internet DESI vengono calcolate come media ponderata degli indicatori normalizzati:
- 2a1 competenze digitali di base (33%),
- 2a2 Competenza digitale di base superiore (33%),
- 2a3 competenze di base software (33%)
[2] la competenza DESI Advanced Skills and Development viene calcolata come media ponderata degli indicatori normalizzati:
- 2b1 specialisti ICT (33%),
- 2b2 specialiste ICT (33%),
- 2b3 laureati ICT (33%)
[3] L’indagine internazionale dell’OCSE sull’insegnamento e l’apprendimento (Teaching and Learning International Survey – TALIS) è una rilevazione internazionale su larga scala sugli insegnanti, sui dirigenti scolastici e sull’ambiente di apprendimento nelle scuole. La traduzione italiana del documento è stata curata da INVALSI: https://www.oecd-ilibrary.org/education/talis-2018-results-volume-i_1d0bc92a-en
[4] Dalla relazione Agcom sulla didattica a distanza: […] 10 studenti su 100 rilevano che la scuola non ha attivato tutti i corsi/materie previste. https://www.agi.it/cronaca/news/2020-07-07/scuola-didattica-distanza-relazione-agcom-9093304/
[5] l’attività relativa alla formazione degli insegnanti è iniziata nel 2016
[6] Tratto da: Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica a scuola: ambiziosa la finalità, ma ci sono alcune criticità da non sottovalutare
[7] In realtà il programma ministeriale non è mai stato prescrittivo, bensì predittivo. Presentarlo come prescrittivo permetteva però di indicare come adempimento dovuto e non negoziabile il proprio piano di lavoro
[8] Per approfondire: https://www.orizzontescuola.it/a-scuola-primaria-non-esistono-programmi-da-svolgere-dunque-non-si-puo-essere-indietro/
[9] Tratto da: “Competenze digitali in Italia, anche dal DESI una spinta al cambiamento” https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/competenze-digitali-in-italia-anche-dal-desi-una-spinta-al-cambiamento/