La (buona) valutazione della scuola è bottom up: l’analisi
Raccogliere opinioni sui vari livelli di bisogno che compongono la
piramide di Maslow, nonché su problemi e desiderata ad essi associati,
costituisce il primo passo per avviare un processo di co-design
partecipato in grado di condurre all’elaborazione di piani di
miglioramento non “parametrici” ma, focalizzati sulle persone
e le comunità di riferimento
19 Febbraio 2016
Carlo Giovannella, Università Roma Tor Vergata, Smart Learning Ecosystems and Regional Development
Vi siete mai chiesti come mai in certe epoche storiche e in determinati contesti territoriali fioriscano dei “qui-ora” irripetibili, come il Rinascimento, la Belle-Epoque, il Big-Deal, ecc. ? E vi siete mai chiesti come mai certe scuole, università, e più in generale ecosistemi di apprendimento, risultino essere particolarmente attraenti per i potenziali studenti, le loro famiglie e gli imprenditori ?
Se ve lo siete chiesti, potreste anche aver tentato di identificarne le ragioni.
Ad essere banali sarebbe sufficiente rispondere che le ragioni sono rintracciabili nelle condizioni socio-economiche e politiche che caratterizzano un determinato contesto o, come risponderebbero alcuni in maniera ancora più sbrigativa, nella disponibilità di risorse particolarmente rilevanti. In realtà, come sanno tutti coloro che da lustri cercano di identificare quali siano gli ingredienti affinché tali condizioni si possano ricreare – seppure nelle forme più adatte al presente storico -, il problema è molto complesso e la ricetta non è stata ancora trovata.
Di certo non è sufficiente la disponibilità di ingenti risorse, come dimostrato i tanti casi in cui “iniziative” avviate con profusioni di mezzi hanno fallito miseramente.
Per rendere più comprensibile il problema facciamo un paio di esempi: potrei lavorare o studiare all’interno di contesti che sono in grado di impegnare importanti risorse e, nonostante ciò, non vedere l’ora di “scappare” per tornare, appena possibile, nei luoghi in cui mi trovo maggiormente a mio agio. D’altra parte potrei ricevere due offerte e decidere di accettare quella economicamente meno vantaggiosa, vuoi perché la sfida propostami è più interessante o perché ritengo che il contesto in cui mi troverò a operare sarà quello in grado di sviluppare al meglio le mie potenzialità. Non è escluso che queste siano state anche le motivazioni che hanno spinto i più valenti artisti dell’epoca a cimentarsi nella Firenze rinascimentale o che spingono, oggi, gli studenti più brillanti del mondo a fare di tutto per entrare al MIT.
Quanto sopra ha a che fare con quello che in psicologia si chiama “stato di flow” [1].
Vi è mai capitato di essere immersi in un’attività i cui obiettivi sono così interessanti che non vorreste interrompervi, neppure per mangiare, sino al raggiungimento della meta ? Beh, vi se vi è capitato, in quel frangente vi siete trovati a vivere uno stato di “flow”, grazie a una sfida particolarmente interessante e adeguata alle vostre capacità … tutto il contrario di ciò che capita alla quasi totalità degli studenti nel loro rapporto con le attività scolastiche.
Cosa ha a che vedere tutto ciò con la valutazione e i piani di miglioramento?
Proviamo a porci ancora una domanda, la più importante: preferiamo scuole capaci di stimolare lo stato di “flow” in tutti gli attori che partecipano al processo educativo (studenti, docenti, ecc.) o scuole in grado di produrre semilavorati per i cicli successivi di studio o per il mondo del lavoro.
La risposta a questo interrogativo è la chiave di volta su cui, poi, si costruiranno adeguati approcci valutativi e progettuali.
Se la risposta fosse la seconda allora ci si potrebbe “limitare” a monitorare e valutare il processo messo in campo da una scuola-azienda, erogatrice di servizi, e allo svolgimento di indagini di “customer satisfaction” aventi come target i potenziali clienti: famiglie e “stakeholder” territoriali. A ben vedere trattasi di una risposta molto in voga, forse la più diffusa al mondo.
Infatti non sono pochi coloro che si impegnano nell’individuazione dei set di indicatori e indici più adatti a misurare l’efficienza e l’efficacia di un processo educativo, anche a distanza di tempo. Una volta raccolti i dati si producono dei ranking, spesso al solo scopo di influenzare il “mercato”. Per inciso questo approccio è lo stesso che viene applicato nella produzione dei ranking delle università italiane operata da CENSIS-La Repubblica e da Il Sole 24 Ore.
Trattasi di approcci – “top-down” e quantitativi – in grado di fornire indicazioni di un qualche interesse sulle condizioni al contorno all’interno delle quali si svolgeranno i processi educativi. Purtroppo, però, sia i procedimenti statistici che la capacità di misurare la qualità dei processi educativi sono piuttosto discutibili [2]. Per altro potrebbero dar luogo a problemi anche di una certa rilevanza ove i risultati delle procedure di “benchmarking” dovessero essere presi troppo sul serio e dovessero condurre a una gestione dei processi educativi improntata all’esclusivo miglioramento del valore degli indicatori, ovvero della propria posizione nei ranking, piuttosto che a quello della qualità dei processi.
In sintonia con questa impostazione è stato realizzato un primo tentativo di benchmarking delle scuole italiane: Eduscopio.
Anche una parte del RAV segue la stessa logica ma, diversamente dagli altri sistemi di valutazione sopra citati, non si propone di produrre ranking e lascia un adeguato spazio all’autovalutazione e, dunque, all’adozione di approcci misti.
Ma torniamo alla domanda chiave e facciamo il caso che si intenda scegliere la prima ipotesi. Sarà allora opportuno dotarsi di un modello di valutazione che consenta di misurare lo stato di “flow”. Due gli aspetti principali di cui è necessario tenere conto nello sviluppo di tale modello:
- lo stato di “flow” è raggiungibile solo a patto che sia possibile soddisfare tutte i bisogni di più “basso livello”, anche legati allo svolgimento del processo, che ne costituiscono la base di sostegno e che sono illustrati dalla piramide di Maslow: bisogni fisici, bisogni di sicurezza, bisogni sociali, bisogni di stima e bisogni di autorealizzazione;
- lo stato di “flow” di un ecosistema è determinabile solo a partire dall’analisi delle opinioni di tutti gli attori che partecipano al processo educativo – studenti, docenti, personale ata, genitori, “stakeholder” territoriali – ovvero attraverso un processo “bottom-up” basato sulla raccolta combinata di dati quantitativi e dati qualitativi.
Raccogliere opinioni sui vari livelli di bisogno che compongono la piramide di Maslow, nonché su problemi e desiderata ad essi associati, costituisce anche il primo passo per avviare un processo di co-design partecipato in grado di condurre all’elaborazione di piani di miglioramento non “parametrici” ma, piuttosto, focalizzati sulle persone e le comunità di riferimento: dall’alunno al territorio.
Complicato?
Non tantissimo, dopo una sperimentazione effettuata su 6 atenei europei, il modello di valutazione “bottom-up” della “smartness” degli ecosistemi di apprendimento è stato adattato alle scuole, integrato nel RAV, adottato e messo in atto da una prima scuola pilota – l’IC di Ponte di Nona Vecchio di Roma – la cui dirigente è particolarmente attenta alla creazione di un clima sereno e collaborativo, punto di partenza per lo sviluppo di processi didattici che possano, nel tempo, condurre i propri attori a vivere uno stato di “flow”. Da quest’anno, poi, si sono aggiunti altri “innovatori naturali”: le scuole della rete SKILLAB di Roma coordinate dal Preside dell’ITIS Giovanni XXIII, gli IC di Ponte di Nona Nuovo e Via Aretusa, nonché la scuola paritaria di Villa Sora.
L’analisi dei dati fa emergere elementi particolarmente interessanti, ma la loro discussione va oltre lo scopo di questo breve intervento (ne discuteremo in altro momento) inteso, soprattutto, a sottolineare come la valutazione non vada subita ma, piuttosto, ne vadano compresi i modelli ispiratori per “sfidarli” e renderli più adatti alla progettazione e, in prospettiva, alla crescita del contesto scolastico che potenzialmente potrebbe trasformarsi in innovazione sociale e sviluppo territoriale, generare benessere … e, perché no, dare avvio a un nuovo Rinascimento.
[1] Czisikszentmihalyi M., Flow – The Psychology of Optimal Experience, 1990, Harper & Row
[2] Giovannella C., Where’s the smartness of learning in smart territories ?, IxD&A Journal, N. 22, 2014, pp,59–67