“La mia pagella da animatrice digitale”: la storia di una maestra

Home Temi Verticali Scuola, Istruzione e Ricerca “La mia pagella da animatrice digitale”: la storia di una maestra

Il bilancio (personalissimo) di una maestra alla scoperta di un nuovo ruolo

24 Giugno 2016

S

Stefania Bassi, insegnante di scuola primaria e animatrice digitale presso l’I.C. C.A.Dalla Chiesa di Roma

Fine anno: tempo di esami per molti studenti e tempo di valutazione per molti insegnanti.

E se invece oggi fossi io ad (auto)valutarmi?

Come maestra, a cui viene chiesto l’arduo compito di giudicare il lavoro di altri (nella fattispecie i miei piccoli alunni di seconda elementare), questa volta voglio provare ad essere contemporaneamente soggetto e oggetto di valutazione, per stilare un bilancio sereno di questi primi mesi da animatore digitale.

Ci sono anche io tra gli 8.300 insegnanti che, come previsto dall’Azione #28 del Piano Nazionale Scuola Digitale, da settembre avranno l’incarico di organizzare attività per formare la comunità scolastica, individuando soluzioni metodologiche e tecnologiche, per la diffusione di una cultura digitale condivisa: insomma mi viene chiesto di innescare un circolo virtuoso di innovazione partendo dalla periferia sud di Roma, dove si trova la mia scuola.

Ecco quello che, sulla base delle esperienze vissute in questi primi mesi di animatrice in formazione, penso di aver imparato.

Ho imparato che probabilmente tra gli 8.300 animatori digitali non ce ne sarà uno uguale all’altro: ognuno di noi contribuirà in maniera speciale con la propria storia, le esperienze, le attitudini e, perché no, le proprie difficoltà, al rinnovamento della scuola.

Frequentando il corso di formazione ho incontrato colleghi che, per mancanza di candidature nella propria scuola, hanno assunto questo ruolo senza averlo scelto davvero; altri docenti che invece erano già animatori digitali da molto prima che il PNSD venisse scritto; ho conosciuto colleghi che avrebbero preferito una formazione più strettamente strumentale, perché loro stessi in primis hanno ammesso di essere ancora molto incerti sul tema del digitale; altri che da anni sviluppano software didattico gratuito di altissima qualità o sono navigati formatori nel campo e, di propria iniziativa, hanno già di fatto lanciato la loro scuola nel futuro.

Ho imparato quanto sia rassicurante poter far affidamento su un gruppo di lavoro, quello che è stato definito il Team di Innovazione: per ora formato da tre persone, che forse in futuro diventeranno ancor di più, e con le quali condividere tante scelte progettuali, un bel po’ di fatica, ma soprattutto la voglia di rendere la scuola un posto migliore dove insegnare ed imparare. Ho capito però, che anche il team, per poter lavorare in armonia, ha bisogno di cure e tempo necessari a costruire il giusto clima, di confrontarsi apertamente sugli obiettivi per realizzare la scuola-che-sarà. Insomma di una condivisione reale, non solo di quella virtuale dei documenti salvati sul cloud.

Ho imparato che l’energia di cui ha bisogno la tecnologia per funzionare nella scuola, non è solo quella elettrica, bensì quella delle buone idee: anche se i mezzi a disposizione sono limitati, le idee, unite alla determinazione degli insegnanti, possono rendere possibile piccole imprese di didattica digitale.

Ho sperimentato che con 10 tablet in prestito e altrettanti ingranditori da pochi euro, si può realizzare un laboratorio di fotografia scientifica coinvolgendo centinaia di alunni, dall’infanzia alla secondaria; che con un proiettore e un cellulare, è possibile animare un ciclo di show-laboratori itineranti aperti anche alle famiglie (e per i quali ci è stato riconosciuto un inaspettato premio dal MIUR).

Ho imparato che superare i propri pregiudizi, accettando di valutare dopo aver fatto esperienza, è un principio valido anche in qualità di animatore digitale. E’ quello che mi è accaduto con i social, in particolare con Twitter : sinceramente ero molto scettica che si potesse utilizzare in maniera costruttiva nella scuola, primaria per di più e invece, grazie ad alcune colleghe che mi ripetevano “Prova, almeno!”, devo riconoscere la mia assoluta social-conversione.

Ho scoperto che, se utilizzati con consapevolezza ed intenzionalità pedagogica, i social possono essere luoghi di bellissimi incontri: la folgorante scoperta di TwLetteratura, con tante classi partecipanti alla riscrittura di classici per l’infanzia in 140 caratteri; l’emozione di rileggere il nostro TwDiario di scuola condiviso; arrivare addirittura nello spazio, con lo scambio di tweet tra i bambini e @AstroSamantha!

Ho imparato che non è sempre facile rivestire questo nuovo ruolo, assolutamente inedito prima d’ora nell’organigramma scolastico: come per i porcospini nel dilemma di Schopenhauer, la sfida sta nel trovare la giusta distanza e riuscire a coinvolgere senza travolgere. Ho capito l’importanza di procedere per gradi, secondo una modalità non di imposizione quanto di circolazione “contagiosa” di buone pratiche digitali. Determinante, prima ancora delle nozioni tecnologiche, comunicare la voglia di mettersi in gioco, unita ad un’intenzionale e ottimistica volontà nel coinvolgere colleghi e famiglie a sperimentare – gli alunni sono già sperimentatori di default – condividendo progetti sempre più sfidanti (come ho raccontato in questo SchoolKit http://schoolkit.istruzione.it/schoolkit/social-me…).

Ho imparato, insomma, che non si smette mai di imparare e, tutto questo, solo dopo qualche mese: chissà quanto ancora mi aspetta nei prossimi tre anni da animatrice digitale… ma sono fiduciosa perché, come dice il mio alunno Simone, “ il futuro è il mio tempo preferito” !

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!