La nuova sfida degli atelier nel primo ciclo di istruzione
Con il bando per gli atelier creativi il Miur aggiunge un tassello importante per il Piano Scuola Digitale. La sfida non è solo per le scuole, dal punto di vista culturale e organizzativo, ma anche per il Miur, a cui si chiede di procedere speditamente con la semplificazione burocratica e con efficaci azioni di accompagnamento alle scuole
1 Aprile 2016
Gabriele Benassi, docente e componente del Servizio Marconi TSI - Ufficio Scolastico Regionale Emilia-Romagna
Con il DM 157
dell’11 Marzo 2016 il
ministero promuove la realizzazione di
atelier creativi e per le competenze chiave, aggiungendo un nuovo
tassello allo sviluppo del nuovo Piano Nazionale Scuola Digitale relativamente
all’azione #7
[i].
Le scuole del primo ciclo, singolarmente o in rete fra di loro, con
associazioni ed enti del territorio, potranno presentare un proprio progetto di
atelier entro il 27 Aprile 2016 nella speranza di ottenere un finanziamento di
15.000 euro (in applicazione all’articolo 1, commi da 56 a 62, della
legge 13 luglio 2015, n. 107).
Gli atelier creativi non sono una novità nel patrimonio pedagogico italiano. Già dagli anni ‘60 contraddistinguono l’offerta formativa di alcune scuole dell’infanzia e primarie di Reggio Emilia, attorno alle intuizioni di Loris Malaguzzi, ancora oggi sviluppate e proposte in modo strutturato dal centro a lui dedicato e dalla fondazione Reggio Children. Non sarà certo possibile portare nelle nostre scuole all’improvviso un modello pedagogico di questo tipo; è innegabile però lo sforzo da parte del ministero di sostenere la costruzione e lo sviluppo di ambienti di apprendimento nuovi su alcuni concetti fondamentali, già messi a sistema dal pedagogista emiliano e comuni ad altre esperienze didattiche costruttiviste:
- la necessità di favorire attività in cui si possano sviluppare più competenze, attraverso progetti e processi che esulino necessariamente dalla buona riuscita del prodotto finale e che valorizzino l’errore come strumento di conoscenza;
- l’attenzione al bambino e non alla singola disciplina, nell’ottica della trasversalità e nel superamento della settorialità così radicata nelle nostre scuole;
- la realizzazione di ambienti di apprendimento che favoriscano la creatività, la collaborazione, il contagio dei linguaggi e dei saperi, la manualità etc.;
- la possibilità di creare punti privilegiati di ascolto e di osservazione dei bambini mentre agiscono, pensano, valutano, interagiscono, formulano ipotesi, decidono, risolvono (…) fra gli strumenti e negli ambienti pensati per tali attività.
Le disposizioni e gli esempi forniti in allegato al DM e alla nota di diffusione relativa ci presentano due modelli di riferimento:
- Atelier a bassa specializzazione e ad alta flessibilità. Si propone un ambiente generico, orientato alla creatività e allo sviluppo di competenze trasversali con strumenti di vario tipo digitali e analogici utilizzabili di volta in volta a seconda delle necessità didattiche: possono andare da attività tinkering a costruzioni di oggetti attraverso le fasi di disegno, progettazione, studio di fattibilità, realizzazione ( in una ottica di project based learning [ii] , proponendo dei piccoli “Fablab” a scuola [iii] ).
- Atelier ad alta specializzazione e a bassa flessibilità. Si propone un ambiente tematico con connotazioni specifiche di tipo scientifico, tecnologico,artistico, umanistico, musicale, di artigianato, di arte digitale, su specifici bisogni speciali. Integrando tecnologie, strumenti e design nell’atelier si potranno introdurre attività specifiche di robotica, energia sostenibile e tecnologie verdi, artigianato del territorio, arte e musica etc.
Entrambi i modelli presuppongono una chiara idea didattica e una analisi attenta del contesto scolastico in cui andrebbero proposti, sia dal punto di vista infrastrutturale che logistico. Entrambi i modelli devono presupporre, come ben esplicitato dall’allegato 1 , adeguati prerequisiti digitali che costituiscono il “tappeto digitale” su cui realizzarli: connettività efficiente con banda larga, dispositivi digitali di varie tipologie, arredi funzionali e modulabili. Tutto questo anche per favorire il “BYOD (Bring Your Own Device), ossia alla possibilità che gli studenti portino a scuola un proprio dispositivo (tablet, computer portatile, etc.) e lo usino insieme ai dispositivi (fissi e mobili) presenti nell’ambiente, in base alle necessità didattiche, fornendo all’insegnante un più ampio ventaglio di possibilità”
Per le scuole non si tratterà dunque di acquistare ambienti/classi standard già in commercio e di inseguire le principali novità tecnologiche; nemmeno di acquistare laboratori linguistici,informatici, scientifici e simili. La sfida degli atelier sarà quella di realizzare in modo funzionale spazi innovativi flessibili comunque trasversali, ad alto contenuto didattico, partendo da ciò che a scuola già c’è e possa essere valorizzato in una idea didattica nuova e predisponendo strumenti che spazino dal piano di lavoro di falegnameria, alla stampante 3d, al disegno di precisione, al pc, al cacciavite, al trapano, al tablet, alla realtà aumentata, alla macchina da cucire etc.., per diventare all’occorrenza bottega, laboratorio, officina, reparto, studio.
Se da un lato è auspicabile questo cambio di rotta nella scuola del primo ciclo sempre più trasmissiva e teorica e sempre meno empirica e laboratoriale, dall’altro si pongono alcune criticità che ogni istituto, nella propria autonomia, dovrà prevedere e risolvere:
- la formazione di alcuni docenti come “atelieristi”;
- la valutazione dei rischi connessi agli atelier e la predisposizione di procedure e accorgimenti di tutela;
- la considerazione degli aspetti giuridici e assicurativi connessi all’introduzione di spazi di questo tipo;
- le modalità di coinvolgimento delle famiglie;
- l’organizzazione degli atelier e la regolamentazione dell’accesso degli alunni agli spazi e agli strumenti (per classe? per gruppi? in orario curricolare? come attività di ampliamento dell’offerta formativa?) in orario scolastico ed extra scolastico;
- la manutenzione e la protezione dell’atelier e degli strumenti a disposizione;
- l’eventuale regolamentazione degli accessi all’atelier di utenti esterni alla scuola.
Non sono criticità da poco, soprattutto in considerazione del grado di conflittualità presente nelle istituzioni scolastiche e dell’inevitabile carico burocratico-formale connesso all’inserimento di un atelier creativo nell’offerta formativa di un istituto.
Proprio in considerazione di ciò, è assai probabile che le scuole che invieranno i propri progetti di atelier lo faranno per potenziare esperienze già in atto [iv] o per proporre atelier fortemente incentrati su attività grafiche e di stampa 3d o di tinkering e robotica, di produzioni di ebook digitali e di storytelling. L’introduzione di attrezzi di falegnameria o simili in una scuola, auspicabile da un punto di vista pedagogico, deve essere accompagnata da non semplici riflessioni e regolamentazioni sul fronte formale e delle tutele, che possono smorzare sul nascere idee ed entusiasmi.
Preziosa in tal senso sarebbe l’esperienza degli istituti superiori in cui laboratori del legno, di modellazione, di discipline plastiche, di cucina avrebbero molto da insegnare in termini di regolamentazione, di organizzazione e di didattica; potenzialmente questi istituti avrebbero anche molto da dare in una logica di organici dell’autonomia e di reti fra scuole. Non è però questo un confine esplorabile partendo dal DM 157 e al massimo lasciato, come spesso accade, alla libera iniziativa dei dirigenti e dei docenti delle singole scuole. Nel frattempo le scuole che intendano proporre atelier più incentrati sulla manualità e l’utilizzo di strumenti potenzialmente pericolosi, potrebbero appoggiarsi alle esperienze dei fablab esistenti aprendo convenzioni e proponendo negli atelier solo le parti progettuali, di stampa, di assemblaggio e rifinitura. Senza rinunciare a priori ad introdurre strumenti fino ad oggi inusuali nelle aule scolastiche, perché potenzialmente un compasso è molto più pericoloso di una lima o di un cacciavite, ma nessun docente/genitore si pone minimamente il problema perché è già un componente standard di un astuccio.
In fondo, anche gli atelier possono essere pensati come dei grandi astucci a disposizione degli alunni, assemblati in stretta collaborazione con le migliori energie del contesto economico e sociale di un territorio e pensati per realizzare attività più autentiche, creative, concrete in modalità e tempi diversi e dedicati. E’ un esempio piccolo ma significativo di come, in realtà, l’atelier porti con sé un cambiamento di tipo culturale. Per questo servirà tempo, pazienza, entusiasmo e volontà di sperimentare. D’altronde, la prospettiva che viene lanciata va ben oltre le possibilità di 15.000 euro e presuppone una capacità delle scuole di trovare partner finanziatori, di co-progettare con fablab e aziende, associazioni e cooperative, istituzioni del territorio.
Rimane l’auspicio che i diversi uffici del ministero, a volte discordanti, riescano per una volta a proporsi in modo sinfonico, attrezzando le scuole non solo di risorse e obiettivi, ma anche di un quadro di norme chiare e univoche che semplifichino, rendano meno arbitrario e garantiscano l’introduzione e lo sviluppo dei nuovi ambienti di apprendimento, partendo dal BYOD e arrivando agli atelier nei nostri istituti. Perché l’autonomia si realizzi, è necessario liberare le scuole dai molti vincoli che ne impediscono lo sviluppo, semplificando le norme e gli accessi ai finanziamenti, smettendo di rigettare sulle autonomie scolastiche responsabilità e funzioni che andrebbero assunte dagli uffici centrali. Questi potrebbero essere i veri freni all’introduzione degli atelier e in generale all’innovazione didattica, come la complessità dei recenti PON sta a dimostrare.
Il PNSD ha il merito di spingere con forza nella giusta direzione, auspichiamo che possa diventare un traino positivo per tutto il mondo della scuola. La cartina tornasole sarà la capacità di istituire azioni di accompagnamento da parte degli uffici centrali sia a livello amministrativo che formativo ( con l’aiuto degli snodi) e l’effettivo monitoraggio/valutazione delle esperienze messe in campo dalle scuole. Questo, però, è un altro capitolo che merita un approfondimento a parte.
[i] Azione 7 pag.150 PNSD: le scuole potranno “dotarsi di spazi innovativi e modulari dove sviluppare il punto d’incontro tra manualità, artigianato, creatività e tecnologie. In questa visione, le tecnologie hanno un ruolo abilitante ma non esclusivo: come una sorta di “tappeto digitale” in cui, però, la fantasia e il fare si incontrano, coniugando tradizione e futuro, recuperando pratiche ed innovandole. Scenari didattici costruiti attorno a robotica ed elettronica educativa, logica e pensiero computazionale, artefatti manuali e digitali, serious play e storytelling troveranno la loro sede naturale in questi spazi in un’ottica di costruzione di apprendimenti trasversali”
[ii] fondamentale l’esperienza di Lepida Scuola e del prof. Zecchi http://enzozecchi.com/article/attivita-diproject-b…
[iii] I Fab Lab (Fabrication Laboratory) sono ambienti attrezzati con tecnologie di fabbricazione digitale volti alla prototipazione, votati all’invenzione e all’innovazione. Sono ambienti di apprendimento per creare, giocare, apprendere, educare, inventare. Un Fab Lab è un laboratorio equipaggiato con software per la modellazione e la progettazione, schede e accessori elettronici, strumentazione tradizionale e macchine a controllo numerico capaci di lavorare con materiali diversi. Un Fab Lab è aperto e quindi aiuta la crescita di comunità di studenti, educatori, tecnologi, ricercatori, maker e innovatori, all’interno della quale è possibile collaborare e scambiare tecniche e conoscenza.
[iv] Ci sono già esempi di atelier o mini fablab in alcune scuole secondarie di 1 grado. Efficace in questa direzione è stato il progetto “Girls code it better” di MAW www.girlscodeitbetter.com che ha messo molte scuole in contatto con il mondo maker.