La scuola e la sfida della didattica a distanza: cosa possiamo imparare dall’emergenza Covid-19
In questo momento di emergenza sanitaria, si sta chiedendo uno sforzo di innovazione enorme al mondo della scuola. In primo piano l’impegno di docenti e famiglie nella didattica a distanza. Capitalizzare quello che stiamo imparando da questa crisi sarebbe molto importante, ma per farlo occorre una visione di medio e lungo termine. Il commento di Mirta Michilli, Direttore generale di Fondazione Mondo Digitale
9 Aprile 2020
Michela Stentella
Content Manager FPA
Di fronte all’emergenza nazionale legata alla diffusione del Covid-19, le tecnologie si sono rivelate improvvisamente un’ancora di salvezza – permettendo per esempio di portare avanti in modalità smart working molte attività che altrimenti si sarebbero fermate – ma hanno anche messo in evidenza contraddizioni e carenze (tecnologiche e di competenze), rischiando di accentuare distanze sociali già esistenti, se non addirittura di generarne di nuove.
In questo scenario, il mondo della scuola è stato improvvisamente catapultato (da un giorno all’altro, possiamo davvero dire) nella dimensione della didattica a distanza (la DAD). E con esso le famiglie. Secondo quanto previsto dal Dpcm dell’8 marzo 2020, i dirigenti scolastici “attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza”. Come ha evidenziato il 13 marzo scorso l’Osservatorio Scuola a Distanza – realizzato dal portale specializzato Skuola.net coinvolgendo oltre 30mila studenti di scuole secondarie e più di 2mila genitori – sarebbero ben 7 su 10 i genitori che ogni giorno assistono i propri figli nello smart learning, conducendo al contempo il proprio smart working. C’è tuttavia, sottolinea l’Osservatorio, un grande problema di digital divide all’interno delle famiglie, molte delle quali a casa non hanno linee Internet in grado di supportare le lezioni online oppure non sono formate all’utilizzo delle piattaforme. Emerge anche il gap tra Nord e Sud, in particolar modo sul tipo di strumenti utilizzati. Nelle classi del Nord si sono affermate le piattaforme più evolute e oltre il 51% degli studenti assiste con regolarità a video-lezioni svolte dai propri insegnanti, in diretta, come se fossero in classe. Nelle regioni del Sud, invece, agli studenti vengono per lo più assegnati compiti da fare e da correggere online.
Il MIUR ha previsto un contributo di 8,2 milioni di euro per potenziare la didattica a distanza attraverso la figura dell’animatore digitale (un contributo di mille euro per ogni scuola da utilizzare per la formazione dei docenti, anche online, su modalità didattiche innovative), che si aggiungono agli 85 milioni previsti dal Decreto “Cura Italia” per il potenziamento della didattica distanza e del digitale nelle scuole italiane (70 milioni per comprare device da dare in uso agli studenti cosiddetti “meno abbienti”, 10 milioni per le scuole che devono dotarsi di piattaforme e di strumenti digitali utili per la DAD e 5 milioni per incrementare il fondo per la formazione degli insegnanti alla teledidattica). Stanziamenti certamente utili in questa fase di emergenza, ma che difficilmente porteranno a raggiungere un minimo di funzionalità per quelle scuole e quegli insegnanti che non hanno ancora cominciato a rapportarsi alla scuola digitale, come ha sottolineato in un recente editoriale Carlo Mochi Sismondi (disponibile in podcast qui per chi lo volesse riascoltare).
Su questo momento del tutto inedito per la scuola italiana abbiamo chiesto un commento a Mirta Michilli, Direttore generale di Fondazione Mondo Digitale, organizzazione non profit che lavora per una società democratica della conoscenza coniugando innovazione, istruzione, inclusione, attraverso lo sviluppo di strumenti e di progetti nell’ambito dell’istruzione, dell’inclusione digitale e dello sviluppo territoriale e di comunità.
“Si sta facendo in questo momento uno sforzo enorme verso l’innovazione nel mondo della scuola – esordisce Mirta Michilli –. Sono stata molto colpita dalla reazione degli insegnanti, anche quelli meno avvezzi all’uso delle tecnologie hanno provato a fare didattica online e a mantenere i rapporti con i propri studenti. Chiaramente nulla sostituirà mai il valore della scuola fisica, e proprio in questa fase tutti hanno capito l’importanza della socialità e del rapporto tra pari, ma l’importante è che si stia sperimentando in maniera così estesa cosa si può fare grazie alla tecnologia. È evidente che senza una visione di medio e lungo termine, senza uno stimolo a continuare ad adottare strumenti e metodologie nuove, sarà molto facile tornare indietro, mentre capitalizzare questa crisi sarebbe molto importante. Questo non si può fare da soli, lo sforzo per mantenere il contatto con i propri studenti può essere individuale, ma l’impegno ad innovare il sistema deve arrivare dalle istituzioni. L’innovazione è uno sforzo, per cui è importante consolidare velocemente quello che è stato fatto”.
Uno sforzo che significa superare tutti i gap che questa crisi sta mettendo in evidenza. Prima di tutto gap infrastrutturali. “Non tutti possiedono gli strumenti adeguati – prosegue Michilli –. Per fare un esempio, noi siamo tra i popoli con il più alto tasso di cellulari al mondo, ma molte famiglie non hanno un laptop o un pc né una linea fissa per la connessione. Non si può fare didattica online con un cellulare, anche gli smartphone più avanzati non permettono un’interazione adeguata. Il problema dell’infrastruttura esiste per molti insegnanti e per molte famiglie, l’indice DESI sull’Italia è chiaro, siamo molto indietro sia nell’uso della linea veloce che nell’uso della strumentazione. È quindi, di nuovo, molto importante lo sforzo collettivo, prima di tutto attraverso gli incentivi”.
C’è poi la tematica enorme delle competenze (degli insegnanti, ma anche degli studenti) e dell’approccio all’insegnamento. Se è vero che dal punto di vista delle piattaforme tecnologiche la scelta è molto ampia (tutte le grandi aziende e piattaforme si sono messe a disposizione del MIUR), “per i contenuti siamo veramente all’anno zero – evidenzia Michilli – le case editrici sono ancora molto tradizionali, scuole e insegnanti si trovano a inventare da soli contenuti e metodi per insegnare discipline classiche con strumenti tecnologici nuovi. Ma, nonostante questi sforzi di creatività, spesso ci si limita a utilizzare le tecnologie come supporto a una didattica ancora molto tradizionale, in cui prevale la lezione frontale. Siamo solo al primo stadio di innovazione, ci sono ancora spazi enormi per valorizzare le opportunità messe a disposizione da questi strumenti”.
In questo contesto di grande cambiamento, non è indifferente il quadro di riferimento normativo. Pensiamo solo a quanta incertezza c’è stata sul tema della valutazione e dello svolgimento degli esami. La scorsa settimana (il 6 aprile) il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al decreto-legge che introduce “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato” (Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 22 ieri in Gazzetta Ufficiale, entra in vigore oggi 9 aprile). “Per studenti, famiglie e insegnanti è molto importante il quadro di riferimento – commenta Michilli – la norma, le modalità di comportamento, anche riguardo alla sicurezza dei dati, soprattutto perché qui parliamo di minori”.
Tornando poi sul tema dell’inclusione, lo stesso Dpcm dell’8 marzo 2020 sottolinea che occorre prestare particolare attenzione alle “specifiche esigenze degli studenti con disabilità” e il MIUR ha attivato “L’inclusione via web”, un nuovo canale tematico di supporto agli insegnanti nei percorsi di didattica online per gli alunni con disabilità. Ma il tema è davvero molto delicato. “La scuola italiana si distingue nel mondo per le sue politiche di inclusione. La didattica a distanza invece amplifica le diversità, e non mi riferisco solo alla disponibilità di infrastrutture – commenta Michilli –. Guardiamo al tema della disabilità, il nostro vanto come paese è l’inclusione all’interno della classe, si fa leva sulla didattica collettiva e sul lavoro di gruppo, mentre l’isolamento è un ulteriore elemento di esclusione. Un problema enorme che ha bisogno di un’attenzione particolare e di professionisti del settore. In Italia abbiamo tutte le competenze per affrontare questa situazione, ci sono molti progetti pilota che andrebbero messi in evidenza”. Un esempio? Il lavoro svolto dal CTS (Centro Territoriale di supporto) della provincia di Bologna.
“Puntiamo sul valore delle reti – conclude Michilli – sulla creatività che si esprime dai territori. Il valore degli ecosistemi è centrale, perché l’innovazione di un ecosistema è molto più forte di quella dei singoli. L’Italia è un paese abituato a fare rete nelle emergenze, speriamo di riuscire a farlo anche per una progettazione di medio e lungo termine sulla quale, di solito, siamo un po’ meno bravi”.