La scuola senza classi: 5 soluzioni adottate in Europa

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Il digitale implica anche un complessivo ripensamento dell’organizzazione scolastica, anche nei suoi spazi e ambienti. Ad esempio il cooperative learning: l’accentuazione della collaborazione fra studenti, dello scambio di conoscenze, dell’aiuto reciproco ha invogliato a progettare una scuola che tenesse nel dovuto conto la vita sociale degli studenti

4 Febbraio 2016

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Paolo Ferri, Università degli Studi Milano Bicocca

L’”aumento” digitale degli spazi della scuola, il ribaltamento del setting didattico implica un complessivo ripensamento dell’organizzazione scolastica, anche nei suoi spazi fisici e ambienti architettonici.

Si prenda ad esempio il caso del cooperative learning, tipico della didattica digitale: l’accentuazione della collaborazione fra studenti, dello scambio di conoscenze, dell’aiuto reciproco – pur con tutte le mancanze, i vuoti, le delusioni, che l’apprendimento in rete può incontrare – ha invogliato a progettare una scuola che tenesse nel dovuto conto la vita sociale degli studenti a scuola. Si tratta di un bisogno di incontro, di vita e di apprendimento non limitato entro mura dell’aula, che, però, può essere assecondato e non represso dagli spazi stessi. La metodologia della Flipped Classroom, come quella del Cooperative Blended Learning, richiedono spazi modulari e poli-funzionali, facilmente riconfigurabili ed in grado di rispondere a metodologie didattiche e progetti formativi innovativi. Progetti centrati sull’attivazione delle conoscenze e sulla risoluzione di problemi piuttosto che sul nozionismo e sullo studio individuale. Se, infatti, si analizzano i progetti architettonici e la distribuzione degli spazi nelle “nuove scuole”, ritroviamo:

  1. una pervasiva ma “invisibile” infrastrutturazione tecnologica: banda larga; hot spot wireless; ambienti virtuali per la gestione della didattica (Virtual Learning Environment); tablet/notebook per studenti e insegnanti;
  2. l’assenza della “classe” come unità minima architettonica e metodologico/didattica della scuola. La classe è troppo grande per essere un “laboratorio” e troppo piccola per essere un Auditorium!

Se analizziamo ad esempio la pianta della scuola nell’immagine in evidenza, e le immagini che proponiamo degli ambienti didattici della scuola Vittra di Stoccolma, ci rendiamo conto di che cosa significhi la trasformazione anche fisica degli spazi della didattica abilitata dalle nuove tecnologie. Si tratta dell’equivalente di una nostra scuola primaria (6-11 anni) e lo spazio è organizzato per attività funzionali, a seconda del tipo di attività che i bambini svolgeranno insieme agli insegnanti, non ci sono le classi.

Gli “spazi funzionali” sono stati attrezzati sulla base teorica degli studi di Nair, Finley e Lackney (2013). Si tratta di spazi digitalmente e analogicamente infra-strutturati per rispondere alle esigenze degli studenti. Gli ambienti modulari e polifunzionali che osserviamo nella “pianta”, sono inoltre progettati per una didattica “personalizzata” e “ribaltata” che utilizza le metodiche più avanzate dell’attivismo-costruzionista. Queste metodiche presuppongono un’idea di insegnamento/apprendimento (Brown, Campione, 1994, Campbell 2007, Hartley 2007, Jonassen, D.H., 2005) che mette in valore la socialità e l’interattività dei soggetti coinvolti nei processi formativi e dei contesti educativi. Un’idea che ha avuto una sempre più ampia applicazione, negli ultimi due decenni, ad esempio nel Regno Unito, ma in generale in tutto il centro-nord Europa. Si tratta, perciò, di progettare e realizzare contesti formativi “reali” e “digitali”, come vere e proprie comunità di apprendimento – noi diremmo “laboratori di ricerca”- tecnologicamente aumentate cui partecipano ovviamente con ruoli differenti insegnanti e studenti. Possiamo perciò con Nair, Fielding e Nackley ipotizzare la necessità di una scuola senza classi che preveda almeno i cinque ambienti di apprendimento che sono schematizzati nella figura qui sotto, e che sono stati realizzati anche fisicamente ad esempio in un serie di scuole reali, tra le quali ad esempio la Vittra School in Svezia:

Figura – Una schematizzazione dei nuovi spazi dell’apprendimento teorizzati da Nair e Fielding (2013, terza edizione rivista)



1. Laboratori. Il cardine di questa “rivoluzione” negli spazi scolastici è il “laboratorio”, nel nostro modello il “laboratorio scientifico”. Questo ambiente si propone quindi come un luogo polifunzionale centrale nella didattica quotidiana, dove recuperare la dimensione manipolativo-esperienziale dell’apprendimento anche in chiave virtuale attraverso gli strumenti digitali. L’apprendere attraverso il fare è al centro di questa impostazione è necessario perciò che le “nuove scuole” abilitate dalle tecnologia siano ricche di spazi laboratoriali sono ampi e ben attrezzati da dedicare alle singole discipline. Questo non costituisce un’innovazione metodologica eclatante si pensi al ruolo del “laboratorio” nella pedagogia attiva degli anni Cinquanta e in particolare a Celèstine Freieinet (Freinet, 1946, 1958). La didattica frontale diviene in questo modo, solo una – spesso marginale – tra le modalità di attuazione dell’apprendimento/insegnamento. In particolare all’interno di una scuola digitalmente aumentata le capacità di simulazione delle “macchine digitali” posso rendere possibili anche modalità laboratoriali, difficilmente realizzabili in modalità analogica

Non solo i laboratori ma almeno altri quattro ambienti didattici,

2. aree di ritrovo informale. Si tratta di spazi che vengono considerati centrali per la formazione in molte “nuove scuole” sia negli USA che nel Nord Europa. Sono appositi spazi di socializzazione informale tra bambini e studenti, che premettono alla comunicazione sociale e didattica di proseguire anche al di là delle ore curricolari. La “cultura informale” dei nativi digitali strutturalmente cross-mediale (Jenkins, 2009), per questo lo scambio di socialità e comunicazione, anche formativa, integra sia modalità in presenza sia modalità on-line.

3. Aree attrezzate per la discussione di gruppo. Questi ambienti possono essere paragonati a “sale riunioni” aumentate digitalmente (videoproiettore interattivo, device per la connessione wifi di tablet e computer allo strumento di proiezione) dove gli studenti tra pari o guidati dal docente conducono sessioni di brainstorming e di discussione sui risultati provvisori o definitivi delle loro ricerche.

4. Lo studio individuale: ovviamente anche in una “scuola aumentata” dalla tecnologia la riflessione e lo studio individuale hanno un ruolo centrale nella didattica contemporanea. Per questo è necessario pensare a spazi dedicati per queste attività. Un luogo accogliente e protetto – la “caverna” (cave) – appunto dove i gli studenti possano trovarsi nelle condizioni migliori per riflettere, leggere e dedicarsi ad attività individuali in maniera autonoma. La caverna nasce per dare una risposta a stili e bisogni diversi e personali dei bambini e degli studenti ed è anche un luogo importante dove fare attività che richiedono il più totale silenzio come, ad esempio, leggere un libro (anche su tablet); montare un video o mixare file audio.

5. L’auditorium Esiste poi la necessità secondo il modello che abbiamo presentato di poter usufruire di un auditorium dove presentare i risultati del lavoro di ricerca da parte degli studenti, o docenti interni ed esterni possano tenere conferenze di approfondimento su temi specifici e di interesse per tutti gli studenti che frequentano ad esempio un medesimo corsi disciplinare. Si tratta di uno spazio polifunzionale che può prestarsi per svolgere conferenze o attività comuni a più gruppi di lavoro ma sopra tutto per socializzare e valutare insieme il risultato dei lavori di gruppo. E’ il luogo dove avviene la revisione razionale e la discussione sugli elaborati dei bambini anch’essi di natura crossmediale e multi-codicale (ad esempi blog, video, composizioni musicali, ma anche presentazioni ed ipertesti di approfondimento), Nel teatro si possono anche vedere insieme video o film o realizzare rappresentazioni teatrali o drammatizzazione di attività che sono state svolte nei singoli ambiti disciplinari.

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