La Smart Specialisation e l’Agenda Digitale per lo sviluppo
Ancora una volta, dall’Europa arriva uno stimolo a migliorare le modalità con cui gestire ed indirizzare gli investimenti pubblici. Si tratta delle strategie per la Smart Specialisation, una delle precondizioni per un utilizzo efficiente dei fondi europei. Presentiamo un interessante Articolo di Luigi Reggi che permette di cogliere le differenze di impostazione rispetto al passato.
20 Dicembre 2012
Luigi Reggi*
Ancora una volta, dall’Europa arriva uno stimolo a migliorare le modalità con cui gestire ed indirizzare gli investimenti pubblici. Si tratta delle strategie per la Smart Specialisation, una delle precondizioni per un utilizzo efficiente dei fondi europei. Presentiamo un interessante Articolo di Luigi Reggi che permette di cogliere le differenze di impostazione rispetto al passato.
Oggi, si sa, le politiche pubbliche devono essere ‘smart’. Cioè ‘intelligenti’ a sufficienza per generare impatto economico e sociale. Questa volta però non lo dice la consulenza IBM, ma la Commissione Europea, che introduce nelle politiche di sviluppo il concetto di Smart Specialisation. E lo fa in modo brutale: secondo la proposta della Commissione alla base dei negoziati in corso, inclusa nel position paper sull’Italia presentato il 28 Novembre a Roma, le regioni e i paesi europei non potranno utilizzare i fondi 2014-2020 per la ricerca, l’innovazione e l’agenda digitale (fondi strutturali ma non solo) finché non avranno approvato una strategia coerente con il principio della “specializzazione intelligente”.
Il concetto è semplice. Le regioni (e gli stati) europei dovranno analizzare, tramite i metodi rigorosi suggeriti dalla Commissione, i punti di forza del proprio territorio, cioè le risorse imprenditoriali, naturali, culturali che lo rendono unico, nonché le conoscenze, competenze, “giacimenti di innovazione” attuali o potenziali su cui far leva per lo sviluppo, immaginando come le ICT e più in generale le nuove tecnologie possano sfruttarne appieno le potenzialità. Poi, una volta individuati, su questi puntare tutto, scordandosi gli incentivi a pioggia tipici di una stagione da superare.
Questo processo è chiamato, nel gergo degli esperti del gruppo Knowledge for Growth, “scoperta imprenditoriale” innovativa: si parte da un asset locale – ad esempio una filiera produttiva che spinge l’export, un’università di eccellenza che genera competenze e iniziative per l’innovazione, oppure la bellezza e la cultura di territorio – per delineare scenari di innovazione, in cui le ICT e le cosiddette General Purpose Technologies giocano un ruolo di primo piano.
Philip McCann, Special Adviser del Commissario Europeo per la Politica Regionale Johannes Hann, è intervenuto a un workshop dell’Università di Cambridge per spiegare questo concetto, che a volte viene confuso con la specializzazione settoriale: “Smart Specialisation non significa specializzarsi in determinati settori produttivi, ma implica piuttosto una diversificazione tecnologica che sappia sfruttare le potenzialità locali individuate dalle strategie, generando ricadute positive a livello imprenditoriale anche attraverso la creazione di nuovi settori”.
La diversificazione tecnologica non disdegna quindi i settori tradizionali citati nel position paper della Commissione quali il turismo, agricoltura, il tessile, l’abbigliamento e le industrie chiave del nostro paese come la meccanica, l’industria automobilistica o l’agro-industria, che possono trasformarsi e generare nuove possibilità imprenditoriali attraverso un’iniezione di tecnologia e innovazione.
L’Agenda Digitale, per queste ragioni, assume un ruolo determinante anche nella strategia europea per la ricerca e la competitività. Le regioni italiane dovranno integrare le loro Agende Digitali nelle loro strategie smart per la ricerca e l’innovazione con orizzonte al 2020.
Gli obiettivi dell’Agenda Digitale non solo garantiscono le condizioni abilitanti all’innovazione (reti ad alta velocità, servizi pubblici digitali e interoperabili, creazione di competenze ICT e coinvolgimento dei cittadini, dati pubblici aperti e maggiore collaborazione pubblico-privato) ma, attraverso la diffusione delle ICT nei processi produttivi delle imprese, contribuiscono a realizzare la visione europea di una società della conoscenza e di un’economia più solida.
Ancora una volta, dall’Europa arriva uno stimolo a migliorare le modalità con cui gestiamo e indirizziamo gli investimenti pubblici. Le strategie per la Smart Specialisation sono una delle precondizioni per un utilizzo efficiente dei fondi europei, che vanno definite e condivise con cittadini e imprese per non disperdere le risorse finanziarie che arriveranno dall’Europa.
E ora sembra proprio che per i decisori locali sia venuto il momento di fare delle scelte. Le imprese da incentivare non sono le più radicate e rappresentative, ma quelle con maggiori potenzialità nel medio periodo, magari forse proprio quelle start-up che ancora non esistono. La ricerca da sovvenzionare non è necessariamente quella dei “soliti sospetti”, ma quella che garantisce le ricadute più promettenti in termini di sviluppo economico.
È il momento, quindi, di dire anche dei “no”, sfruttare coraggiosamente questa opportunità e tentare così di uscire dalla crisi.
* Le opinioni qui espresse sono personali e non riflettono necessariamente quelle del Ministero dello Sviluppo economico con cui Luigi Reggi collabora.
Luigi Reggi: short Bio
Analista di politiche pubbliche per l’innovazione, l’Information Technology e l’Open Government.
Dal 2007 supporta la programmazione, l’attuazione e l’analisi delle politiche per l’innovazione finanziate con i Fondi Strutturali europei presso il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (DPS). Studia la trasparenza e l’apertura della Politica di Coesione europea ed è membro del team di OpenCoesione.
Da ricercatore collabora con l’Università di Urbino e Sapienza Università di Roma sui temi della diffusione dell’ICT nel settore pubblico (progetto TAIPS), della governance degli interventi per lo sviluppo della società dell’informazione e dell’impatto delle politiche per la coesione economica. Ha pubblicato numerosi rapporti di analisi e articoli scientifici su riviste internazionali. Dal 2012 contribuisce alla definizione e condivisione della roadmap di ricerca europea sugli Open Data nell’ambito del progetto CrossOver.
Dal 2004 al 2008 ha coordinato la rete degli Osservatori CRC (Centri Regionali di Competenza per l’e-government e la società dell’informazione), in particolare sulla raccolta di statistiche ICT a livello regionale.
Su Twitter @luigireggi. Altre info sul blog Regional InnovationPolicies.