Le tre caratteristiche che rendono straordinario il Piano Nazionale Scuola Digitale
4 Novembre 2015
Laura Biancato, dirigente scolastico Istituto Comprensivo Mussolente
C’è chi alza i muri e chi costruisce mulini. Forse questa volta i secondi sono di più dei primi. Ci sono molte buone ragioni per apprezzare il documento Piano Scuola Digitale che il Ministro Giannini ha presentato in un’affollatissima conferenza stampa il 27 ottobre scorso. La prima è la sua genesi.
A differenza di quanto sostengono i suoi detrattori, il Piano nasce dopo un lungo confronto tra tutti i soggetti che, dentro e fuori la scuola, stanno operando un percorso di sostegno all’innovazione. Si sono aperti incontri, dibattiti e gruppi di progettazione.
Ad uno dei tavoli ho avuto l’onore ed il piacere di partecipare, lavorando in presenza e a distanza sul documento in progress. Per tutta l’estate, di fatto.
Parto proprio dall’inusuale e poco “ministeriale” modalità con la quale siamo stati coinvolti noi, uno sparuto gruppetto di professionisti della scuola, con un denominatore comune: la vocazione (appassionata) al cambiamento.
Con il coordinamento, tanto informale quanto efficace, di Damien Lanfrey e Donatella Solda, veri artefici del prodotto finale, abbiamo esaminato, discusso, migliorato una bozza che era già ottima di suo. Siamo stati ascoltati a lungo, e con interesse. Si è notato da subito un riscontro concreto alle nostre richieste; molte delle proposte emerse dal gruppo sono state accolte con entusiasmo.
Si dirà: normale. Ma non lo è. Chi, come me, lavora nella scuola da decenni, sa bene che questa modalità non rappresenta lo standard del Ministero, spesso lontano e sordo alle istanze di chi si trova quotidianamente in prima linea.
Ammetto che l’aver sperimentato direttamente l’aria nuova che spira nelle austere sale del Palazzo, mi ha regalato una rinnovata fiducia verso il mio lavoro e una speranza per la scuola italiana dei prossimi anni. Secondo aspetto: quello che il Piano non è, rispetto ai precedenti.
Non è una lista della spesa e non enfatizza gli strumenti: li considera necessari, ma solo se preceduti da un cambiamento forte nella metodologia. Non dimentica le condizioni fondamentali: le infrastrutture e le strutture. Non crea macchie di innovazione, in stile leopardo: vuole portare a sistema tutte le scuole, tutte le classi. Ed è rivolto a tutti gli studenti. Non mette in secondo piano la formazione : la pone al centro, e non solo per i docenti. Anche per i dirigenti e il personale amministrativo.
Non scorda che l’obiettivo fondamentale della scuola è promuovere competenze civiche, tra le quali la competenza digitale occupa un ruolo sempre più importante. Così, promuove uno sviluppo dei curricoli per ogni ordine e grado.
Non permette azioni individualistiche (troppo spesso presenti dove si fa innovazione): costituisce una sorta di “triade” per un efficace lavoro di squadra. Dirigente, Direttore Amministrativo e docente animatore digitale.
Non si ferma agli standard classici: guarda avanti e suggerisce azioni di rinforzo positivo come il “Girls in tech & science” (azione#20) o il Challenge Prize (azione#5).
Non tralascia la sostenibilità e l’accessibilità: dall’open source, ai contenuti aperti, al BYOD.
Terzo: la confezione. Quando mai s’è visto un documento ministeriale di 138 pagine con una struttura così…digeribile?
Una suddivisione per temi essenziali, a loro volta declinati in azioni concrete. Obiettivi, tempi e budget all’inizio di ogni azione.
Grafica chiara, pulita, colorata. Linguaggio accessibile e sintesi ordinata. C’è tutto. Quarto e ultimo punto a favore (last but not least…): le risorse. Non c’è nulla da dimostrare, basta leggere nelle premesse di ciascuna azione. Sono fatti, non parole.
Alzare muri davanti al nuovo PNSD corrisponde a mantenere nella scuola italiana lo status quo; a voler permanere in quella “comfort zone” che proprio Damien Lanfrey cita in un suo bell’intervento sul Sole24ore. Ad accettare che i nostri ragazzi non abbiano le stesse opportunità dei loro coetanei europei.
Così, io dico, costruiamo i mulini. Facciamo sí che il vento produca energie nuove e nuove possibilità. Che cambino gli ambienti, la didattica, gli strumenti.
Ma che soprattutto si pensi ad una scuola capace di adattarsi ai nostri giovani, piuttosto di pretendere il contrario.