Mettere persone e comunità al centro delle smart city: un’arte che si impara
7 Gennaio 2016
Carlo Giovannella*
2015 l’anno dello spartiacque
Il 2015 può essere forse considerato una sorta di anno spartiacque per le “Smart Cities” italiane. E’ l’anno in cui è stato messo a punto, dall’Osservatorio dell’ANCI, uno strumento per il campionamento delle attività svolte, o in corso di svolgimento, sul territorio nazionale e in cui un nutrito gruppo di amministratori si è ritrovato a Bologna (alla Smart City Exhibition) con la voglia di confrontarsi, tenersi in contatto, stringere collaborazioni e scambiare “best practice”, per andare oltre l’entusiasmo iniziale e consolidare il percorso verso l’accrescimento progressivo della “smartness” dei propri territori. E’ anche l’anno, però, in cui ci si è resi conto che le tre tradizionali eliche – industria, università, governo locale – non sono più sufficienti a generare uno sviluppo territoriale e che la quarta elica – quella delle comunità locali – è ormai una realtà non disconoscibile e con la quale si deve fare i conti, specie in un momento storico in cui industria e università non sono più i motori trainanti di una volta e la politica deve necessariamente assumere l’onere e l’onore di creare le condizioni per le quali imprenditori e ricercatori possano ancora credere nelle potenzialità del proprio territorio e non abbandonarlo.
Città e territori “people – centrici”
Il peso sempre maggiore della quarta elica, ovvero quella azionata dalle persone desiderose di attivarsi sia a fini civici che economici, ha fatto finalmente comprendere ai più come la “smartness” di un territorio non risieda esclusivamente nelle infrastrutture – che sono irrinunciabili condizioni abilitanti – ma, in gran parte, nell’enorme ricchezza delle risorse umane che un territorio genera e nel capitale sociale che si riesce a sviluppare per promuovere innovazione sociale e sviluppo territoriale. Compreso ciò il problema che inevitabilmente è emerso è quello relativo all’identificazione delle modalità di “governance” più adatte a rapportarsi alle aspettative delle comunità locali. Il tutto in un’ottica proiettiva che conduce a una “smartness” che non è solo prodotta esclusivamente dai numeri del risparmio energetico e della fluidificazione del traffico, ecc., ma dall’incremento della qualità della vita, da aspettative soddisfatte, dalla partecipazione, dall’ascolto; sintetizzando: dalla centralità delle persone.Potrebbe sembrare banale ma nella pratica le situazioni con cui ci si confronta sono molto diverse: l’ascolto degli individui, le loro aspettative, la loro educazione ad una partecipazione consapevole e ad uno sviluppo sostenibile e mirato non in contrasto con la preservazione delle caratteristiche territoriali sono, molto spesso, relegati in fondo alle liste delle preoccupazioni e delle cose da fare. E’ ciò e vero a tutti i livelli, in parte anche per la Commissione Europea.
Perché accade ciò?
Perché, purtroppo, come asserito dagli esperti e ampiamente riconosciuto dagli attori protagonisti esiste un deficit nella preparazione di chi si occupa di “smart city”, che non si è mai avuto il tempo e/o la voglia di colmare in maniera sistematica. Sin dall’inizio ha regnato il fai da te, l’apprendere sul campo … nulla di male – anche perché a volte i risultati sono molto interessanti – ma le capacità personali, per quanto di altissimo livello, se non sostenute da un adeguato quadro di riferimento, difficilmente riescono a produrre quella visione sistemica che sarebbe necessaria per mediare tra impostazioni/interessi “top-down” e spinte “bottom-up” per sviluppare percorsi di smartness territoriale “people centered”.
La visione sistemica, poi, dovrebbe essere sostenuta anche dalla conoscenza di tecniche specifiche della progettazione (ovvero del “design”) che nel caso di città e territori smart è, necessariamente, anche multistrato. Di certo non è necessario verticalizzare tutte le competenze utili allo sviluppo di una progettazione di sistema, ma sarebbe comunque opportuno familiarizzare con tutti gli approcci e i linguaggi propri delle varie figure tecniche che potrebbero essere coinvolti nel processo di progettazione. E ciò vale non solo per i decisori politici ma anche per tutti coloro che a vario titolo e ricoprendo ruoli diversi si ritrovano poi seduti intorno allo stesso tavolo con lo scopo di pianificare la trasformazione smart dei territori.
Come ovviare
Costruendo percorsi di formazione che possano aiutare chi opera o intende operare nell’ambito delle città e dei territori “smart” ad acquisire un linguaggio e una visione condivisa, e a svolgere percorsi di irrobustimento e sistematizzazione di quanto si è appreso sul campo, nel corso di riunioni e seminari o, più semplicemente, sui banchi dell’università. In altre parole percorsi che aiutino a integrare l’apprendimento informale e non formale con un percorso che definirei formale ma, piuttosto, di co-costruzione sistematica di un proprio esoscheletro culturale, arricchito da un irrinunciabile impianto strategico-metodologico che possa renderlo flessibile e resiliente, come dovrebbe essere il percorso che conduce ad una “smartness” territoriale “people centered”.
Un esoscheletro al cui interno, come in una barriera corallina, sia possibile collocare con più chiarezza anche i contenuti di webinar dal taglio molto tecnico, finalizzati alla risoluzione di problematiche più o meno contingenti.
Percorsi di questo tipo non possono essere il frutto di approcci processuali estemporanei ma richiedono una chiara visione didattica, ampie collaborazioni e il concorso di un numero significativo di competenze in grado di dare vita ad una narrazione coerente e ad un contesto laboratoriale nel quale sperimentare e sperimentarsi, anche e soprattutto, nella propria quotidianità.
Una proposta
Una possibilità, disponibile ormai da tre anni è quella offerta dal Master di II livello in “Design of People Centered Smart City” organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata con la collaborazione di FPA, IBM e ISIA e al quale collaborano esperti provenienti dall’ENEA, dall’ISTAT, dall’Osservatorio dell’ANCI, dal Politecnico di Torino, dal CSI, dagli Stati Generali dell’Innovazione, da Sharitories, e che da sempre ha dato ampio spazio alla narrazione di alcune delle più interessanti modalità di governance di città e territori smart attuate sul territorio nazionale. Al di là della ricchezza degli interventi e dei punti di vista presentati – sempre in una prospettiva “people centered” – il Master si caratterizza per un approccio didattico “design based” e attivo (ispirato al “design thinking”) e per richiedere una presenza minima dal momento che molte attività si svolgono on-line e prendendo a riferimento il territorio di provenienza. Dopo una settimana di allineamento, alla ricerca di una koinè comune, crediamo infatti che sia fondamentale immergersi in laboratori finalizzati all’acquisizione di metodiche tipiche di alcune fasi della progettazione sistemica, dell’analisi e interpretazione dei dati, della pianificazione strategica; per poi affrontare verticalizzazioni scelte in base alle propensioni degli studenti; prima di raccogliere il tutto nello sviluppo di un project work finale che consente di sviluppare la visione “people centered” sul proprio territorio, o nel proprio ambito, di appartenenza.
Per informazioni e approfondimenti sul “Master in Design of People Centered Smart City“
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*Carlo Giovannella è direttore del Master di II livello in “Design of People Centered Smart City” organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata