Perché bisogna passare dalla scuola digitale all’innovazione della scuola

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Se la scuola non saprà trasformarsi in un reale ambiente costruito per sostenere l’apprendimento perderà il suo monopolio di agenzia formativa per eccellenza. Oggi le tecnologie digitali possono davvero rendere possibile nel concreto quella che è rimasta un’utopia, specialmente fuori dalla scuola primaria

16 Settembre 2016

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Giovanni Biondi, presidente Indire

Il digitale avanza nella scuola ed i rischi a cui va incontro la cosiddetta scuola 2.0 sono certamente molti. Esattamente quelli di chi cerca di costruire qualcosa di nuovo.

Si tratta, infatti, di uscire da uno scenario che conosciamo da decenni, fatto di lezioni, di pagine da leggere e di esercizi da fare a scuola e a casa, di verifiche orali e scritte …insomma, da quella scuola che assomiglia come una goccia d’acqua a quella che abbiamo frequentato noi troppi anni fa.

Si potrebbe anche osservare che quando Gentile varava i licei, che sono rimasti la spina dorsale della nostra scuola, sui binari italiani sbuffavano le locomotive a vapore. Oggi sfrecciano sui binari treni che in tre ore vanno da Roma a Milano, ma lavagne e banchi sono sempre lì. Una mancanza di cambiamento che lascia a dir poco sorpresi.

Pensare però che il rischio che corre la scuola 2.0 sia quello di dimenticare il laboratorio di fisica a favore di quello di informatica, come ha scritto un illustre pedagogista in una recente intervista, è davvero singolare. Uno dei temi della così detta scuola digitale è proprio quello di chiudere “i laboratori di informatica” specialmente nelle scuole primarie dove il computer chiuso nel suo laboratorio finisce “per predicare se stesso”.

Un altro argomento “forte” che va per la maggiore vede il libro sulla sponda opposta dei vari device tecnologici. Gli studenti leggono poco e questo è un fatto purtroppo sempre più rilevante, è un trend costante cominciato ben prima della comparsa delle tecnologie a scuola.

Ogni anno un’emorragia di lettori segna tragicamente il mondo dell’editoria. Ma a ben guardare i giovani rimangono i lettori più consistenti. La fascia d’etá 11-17, secondo i dati ISTAT 2015, rimane comunque la più forte, quella che legge di più. In ogni caso il punto non è questo. Tra gli argomenti che spingono ad adottare il computer non c’è certamente quello di usarlo per leggere testi. Leggere sullo schermo o su carta non introduce particolari vantaggi se non forse quello del peso degli zaini e della possibilità di allargare i caratteri o salvare i commenti. Ma se si tratta di leggere, tanto vale portarsi un libro in tasca, per lo meno non ha bisogno di essere ricaricato. E comunque credo proprio che in molti casi un testo nato per la carta il più delle volte in carta ritorna attraverso la stampante (carta sei – perché sei stata pensata per la carta- e carta ritornerai).

Un altro assioma che viene usato con la stessa finalità accusatoria nei confronti delle scuole 2.0 sostiene che in genere il computer e la rete vengono usati per raccogliere informazioni, così – con un curioso salto logico – l’introduzione del computer a scuola abbasserebbe automaticamente il livello culturale della scuola, appiattendo l’attività didattica alla sola raccolta delle informazioni.

Forse tutti ricordano “i quaderni delle ricerche” che si usavano quotidianamente in migliaia di scuole. Su questi quaderni finivano cartoline, ritagli di vecchi libri di testo, fotografie tutte incollate e commentate magari con testi copiati dalle enciclopedie di cui le famiglie si dotavano proprio per sostenere “le ricerche” dei figli. Si trattava dello stesso processo: la ricerca come raccolta di informazioni. Con l’aggravante che spingeva migliaia di studenti a ritagliare e saccheggiare più o meno vecchi libri di testo. Dal processo di ricerca era assente tutta la fase “dinamica”: formulare e verificare una ipotesi, sviluppare e allenarsi al senso critico. Quindi, ben prima delle ICT, la scuola spingeva gli studenti verso questo tipo di esercizi. Non sarà quindi il computer a spingere verso il basso il livello culturale dei ragazzi. Viene da pensare che faccia più danni un’attività ancorata al nozionismo, con o senza il computer.

Viene poi agitato il fantasma della scrittura: smetteremo tutti di scrivere a mano, in corsivo, appena avremo a disposizione una tastiera o un touchscreen. Anche in questo caso non è difficile dimostrare che, come per la lettura, il computer non si inserisce a scuola per sostituire la penna, o per ridurre la capacità di scrittura degli studenti. Forse si dovrebbe anche ricordare che anche la scrittura è a sua volta una “tecnologia”, una tecnica, una mediazione tra una parola, un pensiero, un concetto e la sua rappresentazione su un qualche supporto. Libro, lettura e scrittura non le percepiamo ormai più come tecniche perché secoli d’uso che ce le fanno apparire “amichevoli”. Ma lo sono, né più né meno di come appaiono oggi le ICT agli studenti. Allora dove sta il digitale a scuola? Perché i governi di tutto il mondo stanno investendo in questa direzione? Si tratta della pressione dei produttori di hardware e software che vogliono conquistare la scuola? E’ da questa aggressione, spinta da torbidi motivi economici, che la scuola si deve difendere?

La domanda che ci dovremmo porre però è: dobbiamo continuare a sostenere questo modello trasmissivo, questa organizzazione tayloristica del tempo e dello spazio, questa gigantesca “macchina per insegnare” o dobbiamo cambiare radicalmente il modello educativo cercando di mettere lo studente al centro di un ambiente di apprendimento?

Io credo che se la scuola non saprà trasformarsi in un reale ambiente costruito per sostenere l’apprendimento perderà il suo monopolio di agenzia formativa per eccellenza. Quello di mettere al centro lo studente, di renderlo protagonista di percorsi di apprendimento non è certamente un tema nuovo. Ha attraversato la storia della scuola fino dal secolo scorso. La novità è che oggi le tecnologie digitali possono davvero rendere possibile nel concreto quella che è rimasta un’utopia specialmente fuori dalla scuola primaria.

Il tema quindi non è il “digitale” in sé ma come e perché rappresenta occasione, un’opportunità, una risorsa per realizzare un cambio di paradigma. E’ chiaro a tutti che una LIM non “fa primavera” e che anche un computer per studente può non rappresentare una reale novità.

Senza una vision del cambiamento, fuori da un quadro di innovazione organico e globale, radicale direi, il digitale perde significato anzi amplia i rischi di “semplificazione” dei processi di apprendimento. Quindi non parliamo più di scuola “digitale” che non può esistere ma di scuola e cerchiamo di valorizzare la nostra tradizione educativa che rifugge “l’addestramento” ma considera la scuola prima di tutto un ambiente sociale di crescita dei giovani.

Si cresce apprendendo cose nuove, ma anche sviluppando la curiosità, il piacere della scoperta, il protagonismo della costruzione delle competenze così come la capacità di stare con gli altri, di ascoltare e di comunicare. E’ in questo contesto che il digitale diventa una risorsa perché può permettere di ribaltare un paradigma: passare da una organizzazione nata per trasmettere conoscenze ad un ambiente di apprendimento. Il nostro sistema, come pure tutti i grandi sistemi educativi, è nato in un determinato periodo storico e per svolgere una funzione di “alfabetizzazione” di una popolazione analfabeta per una società industriale.

Oggi tutto questo non c’è più: non ci sono più questi figli di contadini che vivevano isolati e che vedevano nella scuola l’unica agenzia formativa, spesso l’unico luogo dove esisteva un libro; non c’è più quella società industriale e quel mondo del lavoro, quella organizzazione del lavoro…. La trasformazione del sistema scolastico è in atto: molte scuole, penso in particolare al movimento delle Avanguardie Educative, stanno trasformando tempo e spazio del fare scuola ed il digitale, in questo processo, svolge un ruolo importante, rende possibile questo cambiamento. Le 12 (ora diventate 15) idee per l’innovazione promosse dalle Avanguardie hanno tutte dentro di sé il digitale ma nessuna potrebbe essere definita “digitale”; tutte guardano da diversi punti di vista a sostenere l’innovazione della scuola.

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