Scuola, comunità e reti per un nuovo ecosistema formativo
Oggi i cambiamenti più innovativi non sono definiti dalla norma, dalle riforme, ma dalle scuole stesse. Processi di valore vengono attivati sempre di più orizzontalmente dalle persone che hanno abitudine a cooperare e condividere e sempre di meno dall’alto verso il basso. È in questo scenario che rientrano reti di scopo, alleanze collaborative e patti educativi di comunità o patti educativi territoriali, perché la scuola da sola non può farcela, ha bisogno di un ecosistema formativo che metta insieme tutti i soggetti che credono nella centralità dell’istruzione, e dell’insegnamento, non solo per rilanciare lo sviluppo del paese, ma anche per garantirne la sostenibilità. Il futuro è pubblico e privato insieme al servizio del bene comune
18 Marzo 2022
Mirta Michilli
Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale
Chi vuole diventare insegnante?
Se chiediamo a ragazze e ragazzi di 15 anni che frequentano la nostra scuola verso quale professione futura si orientano solo 1 su 100 pensa all’insegnamento. Nei paesi OCSE, invece, vuole diventare insegnante un adolescente su 5[1]. Perché per le ragazze e i ragazzi la professione del docente è diventata solo un ripiego e non più un obiettivo desiderabile? Eppure, c’era un tempo in cui fare la maestra o il maestro erano considerati il sogno di una vita, e perfino il lavoro più bello del mondo, come amava ripetere Tullio De Mauro, studioso dei sistemi di istruzione, che ricordava nome e cognome di tutti i suoi maestri.
«Se per strada incontro un mio collega lo saluto. Ma se incontro un insegnante mi fermo, mi cavo di capo il cappello e mi inchino»: così nei lontani anni ‘50 amava dire Guido Calogero, filosofo e storico della filosofia, e così ci raccontava Tullio De Mauro sulla rivista Internazionale[2] per sottolineare il rispetto che una società deve ai suoi insegnanti. Cosa è successo alla scuola e soprattutto alla scuola italiana? «Voi cappelli non ne portate più, ma fermarvi e inchinarvi potreste e dovreste», scriveva De Mauro nello stesso testo, molto forte, che andrebbe riletto ogni volta che si mette mano alla scuola, per non ‘manometterla’. Tullio De Mauro ci ha insegnato che la scuola è sempre stata capace di fare il suo dovere costituzionale, nonostante tutto. E gli artefici di questo successo, non solo non riconosciuto ma anche rimosso sono proprio gli insegnanti. E da loro bisogna ripartire per ricostruire la ripresa e lo sviluppo del paese, come ha ricordato Alfonso Molina su HuffPost in occasione della Giornata internazionale degli insegnanti (World Teacher’s Day)[3].
Con dati, osservazioni, ricerche, visite sul campo, e la conoscenza di quanto succede in cinque sistemi scolastici di alto livello (Singapore, Estonia, Canada, Finlandia, Shanghai), Andreas Schleicher, direttore del settore “Education and Skills” dell’OCSE, ci dimostra che da nessuna parte la qualità di un sistema scolastico è superiore alla qualità dei suoi insegnanti. «I sistemi scolastici ad alte prestazioni pongono tutti molta attenzione sui metodi di selezione dei loro insegnanti e dei loro dirigenti scolastici» e «forniscono agli insegnanti percorsi di carriera intelligenti per crescere professionalmente»[4] . Il volume “Una scuola di prima classe” dovrebbe essere un’altra lettura obbligatoria per chi si occupa di politiche dell’istruzione, perché ci aiuta a capire come possiamo costruire un sistema scolastico che funzioni come ‘una scuola in uscita’, liberandoci da falsi miti e pregiudizi. Ci piace pensare alle scuole come a organizzazioni capaci di imparare e risolvere, soprattutto in contesti di emergenza e di imprevedibili sconvolgimenti. Perché «La scuola rivoluzionaria è quella che insegna a risolvere problemi nuovi»[5], ci ricordava sempre Tullio De Mauro.
L’innovazione incrementale
Oggi i cambiamenti più innovativi non sono definiti dalla norma, dalle riforme, ma dalle scuole stesse. Processi di valore vengono attivati sempre di più orizzontalmente dalle persone che hanno abitudine a cooperare e condividere e sempre di meno dall’alto verso il basso. Per questo serve sicuramente più ascolto e attenzione verso quello che accade nelle classi di tutto il paese. Spesso, invece, vediamo una governance del Ministero paralizzata dal quotidiano, poco attenta ai processi innovativi in atto. E quando interviene, magari in modalità discontinua rispetto al passato, lo fa in modo confuso, come nel primo bando per co-progettare la scuola con il Terzo settore[6], che rende di fatto impraticabile il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche nei primi processi di condivisione. Ma come potrebbe essere altrimenti con dodici Ministri dell’Istruzione che si sono succeduti in venti anni? Come si può costruire una visione strategica e un processo di innovazione sistemico, se ogni volta si ‘azzera’ quanto è stato realizzato o si ragiona in logica ‘riparativa’?
Una soluzione è progettare ‘contesti facilitanti’ che favoriscano processi di innovazione incrementale, motivando i docenti e la comunità educante. Misurarci su traguardi raggiungibili, visibili e misurabili (first wins)[7], ci aiuta a sviluppare resilienza e antifragilità, e a fronteggiare il perdurare della crisi e dell’emergenza sanitaria, senza perdere la visione ideale, cioè costruire una società democratica della conoscenza dove nessuno sia escluso. Perché oggi la sfida non è solo quella di raggiungere tutti ma di arrivare a ciascuno, con una formazione personalizzata.
I docenti della scuola del noi
Con la Fondazione Mondo Digitale coinvolgiamo gli insegnanti in un importante progetto di didattica innovativa, valorizzando il loro ruolo di agenti del cambiamento pedagogico e sociale. Creiamo percorsi didattici che facciano leva sull’uso di soluzioni digitali per trasformare l’apprendimento delle discipline in un’esperienza coinvolgente e trasformativa, in grado di sollecitare conoscenze, competenze e valori centrali nel modello di “Educazione per la vita”[8]. I moduli o percorsi didattici ideati devono presentare un reale valore aggiunto per la didattica mista (online e/o in presenza) delle discipline. Nel nostro ‘contesto facilitante’ sono già a lavoro 28 gruppi di insegnanti di scuole primarie e secondarie e dei centri di istruzione per adulti. Sono professionisti competenti, educatori etici, progettisti innovativi e ci auguriamo possano diventare anche leader trasformativi nei territori e animatori dei ‘Patti educativi di comunità’. Dando spazio alla creatività e all’ingegno degli insegnanti possiamo costruire da subito capacità di cambiamento. Cominciamo dalla nostra piccola comunità open source di insegnanti e chissà dove possiamo arrivare con la metodologia Kit:Cut[9]: si scaricano i progetti, si realizzano gli strumenti, si condivide l’esperienza e si creano nuovi percorsi da condividere. Sarebbe interessante monitorare altre realtà di questo tipo, perché dal confronto internazionale sappiamo che funzionano. A Shanghai, ad esempio, il migliore sistema di istruzione nel PISA 2012[10], è stata creata una gigantesca comunità open source di insegnanti, che danno il loro contributo creativo e sono valorizzati per quanto fanno e condividono. Perché non provare a scalare anche le migliori esperienze italiane?
L’ecosistema formativo
Economisti e studiosi illuminati ci avvertono che, se non interveniamo con lucidità, le carenze dei nostri sistemi scolastici rischiano di provocare gli stessi effetti disastrosi di una grande recessione. Ecco perché serve un vero e proprio ecosistema formativo, perché nessun soggetto, nessuna agenzia formativa da sola, ad esempio, è in grado di affrontare e risolvere la multidimensionalità del fenomeno della povertà educativa. Bisogna attrezzarsi con un nuovo metodo di lavoro fatto di integrazione, non di sostituzione. Dobbiamo essere in grado di sviluppare continui accomodamenti e assimilazioni, procedendo per integrazioni. E dobbiamo affrontare il tema della formazione continua in modo sistemico, altrimenti continuiamo a produrre disuguaglianza, senza preoccuparci di offrire pari opportunità a tutti. Ed è in questo scenario che rientrano reti di scopo, alleanze collaborative e patti educativi di comunità o patti educativi territoriali, perché la scuola da sola non può farcela, ha bisogno di un ecosistema formativo che metta insieme tutti i soggetti che credono nella centralità dell’istruzione, e dell’insegnamento, non solo per rilanciare lo sviluppo del paese, ma anche per garantirne la sostenibilità, nella visione di Amartya Sen. In questi partenariati di carattere innovativo, dove è fondamentale il valore della relazione, altrimenti sono ennesimi contenitori vuoti, entrano sempre di più gli atenei e le imprese produttive, perché il futuro è pubblico e privato insieme al servizio del bene comune. È possibile così costruire anche percorsi scolastici esperienziali capaci di orientare tra desideri, vocazioni, talenti e competenze, mettendo insieme scuola e lavoro.
Quando parliamo di ecosistemi ci piace molto la metafora che propone l’economista Stefano Zamagni[11] per spiegare le enormi potenzialità innovative del terzo settore: paragona il lavoro che fanno le organizzazioni più avanzate all‘attività del castoro ‘costruttore’, capace cioè di dare vita a nuovi ecosistemi. Il castoro costruisce la proprio diga e così facendo modifica l’habitat che lo circonda, creando le condizioni che consentono ad altre specie di vivere. Cambia il mondo intorno a sé, rendendolo migliore anche per gli altri. Così quando con la Fondazione Mondo Digitale, con il sostegno dell’impresa sociale Con i Bambini e vaste alleanze territoriali ibride, costruiamo nuove Palestre dell’Innovazione nelle periferie italiane[12], facciamo qualcosa di molto simile al castoro, creiamo nuovi ecosistemi inclusivi. E sviluppiamo una capacità generativa per l’intero ambiente circostante.
Governance, una parola che non riusciamo a dire e ‘a fare’
Tullio De Mauro, da linguista, non amava anglismi e anglicismi, ma ci conviveva con ironia, distinguendo tra quanti li usano per darsi arie e altri che con una parola nuova imparano a dire cose che altrimenti non saprebbero esprimere. ‘Governance’ è una di quelle parole straniere che non riusciamo a tradurre in italiano non solo per un problema linguistico, ma soprattutto per una questione di capability, di capacitazione, come direbbe Amartya Sen. In leadership diffusa e governance non siamo bravi, soprattutto quando si parla di istruzione, ma non solo. Dobbiamo essere consapevoli che così ‘incapacitati’ stiamo affrontando le straordinarie risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[13]. Ecco un’altra ragione per cui abbiamo bisogno degli insegnanti, perché ogni giorno più di altri, dentro e fuori scuola, sono tra i pochi che si ‘capacitano’ che non si smette mai di imparare. Dobbiamo investire sulla scuola, sulla professionalità dei docenti, sull’educazione dei nostri figli, ma soprattutto sulla nostra formazione continua, perché solo così possiamo imparare a riconoscere le diverse forme di disuguaglianza e a porvi rimedio.
Questo articolo è tratto dall’Annual Report 2021 di FPA (disponibile online gratuitamente, previa registrazione)
[1] Oecd, Who wants to become a teacher? PISA in focus n. 58.
[2] T. De Mauro, I tre silenzi del governo che fanno male alla scuola, Internazionale, 11 maggio 2015.
[3] World teacher’s day, i docenti sono il motore della ripresa inclusiva, HuffPost, 4 ottobre 2021
[4] Andreas Schleicher, Una scuola di prima classe, Il Mulino, 2020.
[5] 5 T. De Mauro, La scuola rivoluzionaria è quella che insegna a risolvere problemi nuovi, Internazionale, 2 giugno 2016.
[6] Decreto dipartimentale n. 66 del 26 luglio 2021.
[7] A. Molina, First wins nella scuola: la sfida dei docenti ‘a codice aperto’, HuffPost, 11 marzo 2021.
[8] A. Molina, Educazione per la vita e inclusione digitale, Erickson, 2016.
[9] P. Soldavini, L’innovazione didattica parte dal making, Nòva, IlSole24Ore, 10 dicembre 2017
[10] Invalsi, OCSE-PISA 2012.
[11] Stefano Zamagni, Terzo settore, innovare non significa ‘fare meglio’, Vita, 4 ottobre 2019.
[12] Progetto OpenSPACE: Spazi di Partecipazione Attiva della Comunità Educante.
[13] Italia Domani, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, italiadomani.gov.it.