Trasferimento tecnologico un’opportunità per il Mezzogiorno
Rispetto alle due tappe precedenti, il FORUM DELL’INNOVAZIONE Mezzogiorno, ha dedicato ampio spazio alla discussione sul rapporto tra ricerca scientifica e sviluppo economico ed industriale di un territorio. Quali sono le prospettive che si aprono per il nostro paese in questo settore e quali gli ostacoli?
23 Febbraio 2010
Tommaso Del Lungo
Rispetto alle due tappe precedenti, il FORUM DELL’INNOVAZIONE Mezzogiorno, ha dedicato ampio spazio alla discussione sul rapporto tra ricerca scientifica e sviluppo economico ed industriale di un territorio. Quali sono le prospettive che si aprono per il nostro paese in questo settore e quali gli ostacoli?
Soprattutto per un paese povero di materie prime il vantaggio competitivo sugli altri paesi va cercato puntando sulla creatività e sulla capacità di innovazione che nasce nelle strutture di ricerca. Questo è tanto più vero nel Sud Italia, un territorio in cui le Università raggiungono spesso punte di eccellenza a livello europeo e rappresentano centri economici del territorio, attorno ai quali si raggruppano, spesso, le imprese più competitive e produttive.
La trasformazione della conoscenza derivante dalla ricerca scientifica in capacità innovativa (e competitiva) per le imprese prende il nome di trasferimento tecnologico ed è la leva su cui l’intero mondo occidentale sta puntando per resistere all’assalto dei paesi emergenti portato dalla globalizzazione. Al FORUM DELL’INNOVAZIONE di Napoli la discussione ha chiamato a raccolta i vari attori del trasferimento tecnologico presenti sul territorio: gli enti di ricerca pubblica, le istituzioni, le imprese e i mediatori del trasferimento tecnologico (parchi scientifici, incubatori di impresa, centri di competenza e distretti tecnologici).
Il sistema italiano
La prima cosa che è emersa dalla discussione è che non è vero che l’Italia non investe in ricerca: ogni anno lo Stato investe in ricerca la stessa percentuale di PIL di UK e Giappone.
Negli ultimi anni, inoltre, sono nate molteplici strutture tutte più o meno rivolte a favorire i processi di trasferimento tecnologico: parchi scientifici, incubatori di imprese, distretti tecnologici, consorzi città-ricerca eccetera.
Ciononostante l’Italia è agli ultimi posti nella classifica dei paesi dell’Europa a 27 più innovativi (secondo la European Innovation scoreboard). Come si spiega questa distanza tra investimenti fatti e risultati ottenuti?
Le risposte date dai diversi interventi sono state diverse:
La mancanza di investimenti privati. Nonostante la quota di investimenti pubblici in ricerca sia paragonabile a quella degli altri paesi industrializzati, la quota di investimenti privati è drammaticamente inferiore a causa della dimensione “micro” delle nostre imprese (il 97% di tutte le imprese italiane ha meno di 15 dipendenti e un fatturato al di sotto dei 10 milioni di euro) e della “dismissione” della grande industria italiana.
Finanziamenti a pioggia e mancanza di governance. Una politica poco orientata al lungo periodo ed un campanilismo esasperato hanno portato, come dicevamo, alla creazione di decine di soggetti pensati per “trasferire conoscenza”, “Forse centinaia di strutture – come ha sottolineato l’intervento di Aniello Cimitile, presidente della Provincia di Benevento – ognuna delle quali nate in riferimento ad una singola legge, quindi ad una singola volontà politica”. Una moltitudine che non riesce a fare sistema.
Distanza tra domanda ed offerta. Tra sistema della ricerca e fabbisogno del sistema delle imprese non c’è comunicazione. Se il primo è stato orientato per troppo tempo esclusivamente al prestigio accademico, il secondo non è in grado di formulare un bisogno “codificato”, se non la necessità di risultare competitivo.
Cultura della valutazione e competizione. Per alcuni dei presenti al dibattito l’eccessiva concertazione voluta dalla politica negli ultimi anni ha schiacciato la concorrenza e la cultura della valutazione. “Anche restando nei limiti della legalità, è chiaro che se una commessa la si ottiene non più vincendo una gara, ma firmando protocolli di intesa, gran parte delle risorse di un’azienda saranno rivolte a questa attività e non alla qualità del prodotto” ha detto Saverio Salerno della Provincia di Salerno.
I tempi della burocrazia. Burocrazia ed innovazione hanno tempi decisamente differenti.
Le soluzioni proposte
Tutti gli intervenuti hanno concordato sulla necessità di una nuova regia che riesca a convogliare tutti gli sforzi verso pochi obiettivi di sistema. Anche qui, come nella discussione della mattina è stato forte il richiamo ad una nuova governance che non abbia solo funzioni regolatorie, ma che offra una “guida” al processo.
“Il processo di innovazione – ha evidenziato Massimo Marrelli dell’Università Federico II di Napoli – coinvolge tre attori: chi produce conoscenza, chi la usa e chi mette in contatto questi due mondi. È chiaro che per migliorare il sistema bisogna lavorare su tutti e tre”. Occorre, quindi, modificare il ruolo dei centri di trasferimento portandoli a sistema, coinvolgere le aziende nella ricerca pubblica e puntare sui partenariati, in modo da aggregare la domanda.
Inoltre grande enfasi è stata data al ruolo dello standard. Una tra le leve in possesso delle istituzioni per incidere sulla domanda è quella di introdurre standard e puntare sulla competizione.
Particolarmente interessante l’intervento dell’Assessore all’Innovazione della Campania Nicola Mazzocca che ha riassunto le azioni portate avanti in questi anni dalla sua amministrazione: “L’obiettivo che ci siamo dati – ha detto – è che il potenziale della ricerca del nostro territorio (7 università, 250.000 studenti e un distretto tecnologico) si trasformi in attrattività. In Campania l’università e la ricerca sono ad altissimo livello ed è per questo che abbiamo scelto questo settore come perno attorno al quale pensare il rilancio della nostra regione. Usiamo diversi strumenti per raggiungere obbiettivi diversi: dai fondi per l’innovazione alle piccole imprese, ai centri di competenza che uniscono enti pubblici di ricerca, istituzioni e piccole e grandi aziende, per trasferire la conoscenza; dal coinvolgimento degli attori privati della progettazione sui fondi PON, agli investimenti mirati sui distretti dell’Areospazio e della “green technologies”.
Infine tra le azioni imprescindibili per un rilancio del tessuto produttivo del Mezzogiorno non può essere dimenticata la lotta contro illegalità e corruzione, due piaghe che da sole hanno il potere di distruggere qualunque balrume di sviluppo economico virtuoso.
In conclusione la sensazione che abbiamo avuto da questa giornata è sintetizzabile con le parole di Nevio Di Giusto – rappresentante di Confindustria Campania: “Qui nel Mezzogiorno rispetto al trasferimento tecnologico esistono molte più cose di quelle che conosciamo. Il primo passo, dunque è conoscersi, quello successivo sarà capire in che modo fare sistema e convogliare tutte queste energie in uno sforzo congiunto.