Una visione globale delle competenze: diamo alla scuola tutto il tempo che serve

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Approvata dalla Camera, passa ora al Senato la proposta di legge che prevede l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico delle nostre scuole. Una proposta che ha dei limiti, ma che è certamente un segnale importante perché riconosce finalmente che l’istruzione non si esaurisce nella trasmissione di conoscenze codificate. Dobbiamo appassionarci di nuovo alla sfida dell’educazione che richiede ora più che mai una responsabilità diffusa e non può essere slegata da un investimento nella formazione continua degli adulti

27 Gennaio 2022

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Mirta Michilli

Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale

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Oltre il 32 per cento degli italiani non ha altro titolo di studio che la licenza media. Poco più del 30 per cento ha sostenuto, superandolo, un esame di maturità. E c’è ancora un 16 per cento di cittadini che non ha un titolo di studio o solo la licenza elementare. Un basso titolo di studio significa possedere scarse competenze funzionali, cioè la capacità di fare le cose, come accedere ai servizi o partecipare. Si trovano in questa situazione quasi 13 milioni di giovani e adulti, tra 25 e 64 anni. Oltre la metà della popolazione adulta ha bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale per aggiornare le proprie competenze. Questo significa che quando affrontiamo il problema dell’educazione e dell’istruzione è assai probabile che tra i nostri interlocutori ci siano persone che di scuola ne sanno molto poco, perché l’hanno frequentata solo per un periodo di tempo limitato, e questo spiega anche la marginalità della scuola nelle politiche e negli investimenti del paese. È una difficoltà che non dobbiamo mai trascurare così come dobbiamo considerare che una presenza così ampia di persone con difficoltà di lettura, comprensione, scrittura e capacità di calcolo ha dei costi produttivi e sociali per tutto il paese e ogni giorno mette a rischio la democrazia.

La scuola che innova, nonostante tutto

Nonostante i tagli progressivi e il disinteresse di chi dovrebbe curare il bene comune, la scuola ha fatto e continua a fare miracoli, tenendo insieme qualità dell’istruzione e massima inclusione. E lo ha fatto anche in tempo di pandemia, nonostante tutto. In emergenza abbiamo scoperto quanto possano essere strategiche le tecnologie digitali e quanto le competenze trasversali di dirigenti, docenti e familiari possano aiutare i ragazzi a sentirsi sempre parte di una comunità, valorizzando la relazione educativa e l’apprendimento socio-emotivo. Così è stato possibile guidare i più giovani, dall’infanzia all’adolescenza, a gestire le difficoltà, trovando anche soluzioni creative e originali.

Per aiutare i suoi alunni in lockdown Luca Scalzullo, docente di tecnologia all’IC Rita Levi Montalcini di Salerno, ha realizzato un canale youtube con tutorial, un sito web con appunti e lezioni, un canale telegram su scienza e storie di scienziati, tanti incontri online pomeridiani e serali per vedere insieme documentari, film e discutere con gli alunni e le loro famiglie. “Io non so se sono un innovatore, non so se sia giusto premiarmi, so solo che quando penso all’innovazione penso ad un’unica grande parola, empatia, e so che adesso non farei nessun altro lavoro”. Luca Scalzullo ha vinto il premio speciale Tullio De Mauro per il docente innovatore alla decima edizione del Global Junior Challenge. “L’innovazione è uno stato mentale, uno stato dell’anima. Accompagniamo gli studenti in un futuro che di fatto è già qua. Bisogna sapersi sporcare le mani. Essere capaci di scendere in mezzo ai propri alunni e di spingerli verso il futuro. Più del risultato, conta il cammino percorso insieme”. Impreparato a insegnare e a gestire le classi in pandemia, così si è sentito Luca Scalzullo, docente di tecnologia all’IC Rita Levi Montalcini di Salerno. Ma alla sfida, lanciata da una alunna il primo giorno di scuola, non hai mai rinunciato: “prof. ci fa innamorare tutti della sua materia?”

Quale modello di educazione per rispondere alla complessità

Per la Fondazione Mondo Digitale il docente Luca Scalzullo è un buon interprete del modello di Educazione per la vita, che integra conoscenze codificate, competenze e valori con tre dimensioni fondamentali dell’apprendimento (in tutti gli ambiti della vita, lungo l’intero arco della vita e in modalità trasformativa).

Il modello di Educazione per la vita è stato elaborato dal direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale Alfonso Molina, personal chair in Technology Strategy (ha insegnato all’Università di Edimburgo per oltre 20 anni), proprio per rispondere alla complessità crescente del nostro mondo, sempre più accelerato nei cambiamenti e nelle trasformazioni, attraversato da lunghi periodi di crisi e ora da un’emergenza sanitaria che ci ha colto completamente impreparati. Da tempo lo integriamo in ogni nostra azione e nei progetti che coinvolgono le scuole, perché l’istruzione non può limitarsi alla trasmissione di conoscenze, al solo sapere curricolare.

Le competenze per la vita fanno parte degli obiettivi di apprendimento. “Mentre a lavorare ce lo hanno insegnato intere generazioni prima di noi, a essere semplicemente uomini non ce lo ha mai spiegato nessuno”. Forse che in un liceo qualcuno insegna agli studenti “che cosa significa empatia, sensibilità, complicità?”, si chiede Paolo Crepet in “Vulnerabili” (Mondadori, 2020). Il sociologo Umberto Galimberti considera l”educazione emotiva espulsa dalla scuola” come la “causa prima del disagio giovanile” (“L’ospite inquietante“, Feltrinelli). Eppure le scuole sono luoghi a forte densità socio-emotiva.

Competenze non cognitive nella scuola: la nuova proposta di legge come punto di partenza

Prova a colmare questa lacuna la proposta di legge “Disposizioni per la prevenzione della dispersione scolastica mediante l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico”. Approvata dalla Camera, la proposta passa ora all’esame del Senato. Nella definizione delle competenze non cognitive (Soft Skills, Character Skills, Social and Emotional Skills) la legge fa riferimento al modello Big Five, che comprende estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e apertura mentale. E introduce un percorso sperimentale nel metodo didattico.

Certo, siamo d’accordo con il premio nobel James Heckman, che le abilità cognitive misurabili con i test siano solo una parte di ciò che determina il successo nella vita. Ma non mi convince l’intervento della legge solo sul metodo didattico, senza definire una cornice, senza spiegare come conoscenze e competenze debbano integrarsi con lo sviluppo del carattere. Trovo più ragionevole la direzione che indica Andreas Schleicher, direttore per l’Istruzione e le competenze presso l’Ocse, con la global competence, come “un obiettivo di apprendimento permanente multidimensionale”, che aiuta le persone a “comprendere e apprezzare diverse prospettive e visioni del mondo, interagire con successo e rispetto con gli altri e intraprendere azioni responsabili verso la sostenibilità e il benessere collettivo”. Qui vedo una visione che ingloba conoscenze, competenze, valori e carattere. E l’essere in relazione per costruire comunità coese e sostenibili.

Intanto però abbiamo urgente bisogno di segnali di attenzione, che la scuola sia ascoltata da subito. E ci basta perfino una proposta di legge che finalmente riconosca che l’istruzione non si esaurisce nella trasmissione di conoscenze codificate. La scuola è stata troppo a lungo trascurata e rischia la “sindrome del ritiro”. Perché oggi purtroppo c’è anche una scuola sempre più delusa che tende a isolarsi, a rinunciare, a vivere confinata nell’aula. Perfino nella didattica a distanza ha trovato una sorta di confort zone e fa fatica ora a tornare nello spazio scolastico. Come se il fenomeno Hikikomori potesse colpire anche un’istituzione, la più grande infrastruttura sociale del paese. Invito a vedere su Rai Play il corto “Ho tutto il tempo che vuoi“: racconta di Matteo, un adolescente che ha deciso da tempo di non andare più a scuola e di vivere recluso nella sua camera, passando il tempo al computer. Cerca di aiutarlo con poco successo Sara, una educatrice, su segnalazione dei servizi sociali. La situazione si sblocca solo quando, per un incidente di percorso, scatta finalmente una scintilla di empatia.   

Oggi dobbiamo avere la costanza e la disponibilità di Sara, perché il futuro di Matteo è quello di tutti. Dobbiamo metterci in ascolto della scuola, con empatia, e dire “Ho tutto il tempo che vuoi”. E appassionarci di nuovo alla sfida dell’educazione che richiede ora più che mai una responsabilità diffusa. Ma soprattutto non possiamo dimenticare che non vinciamo la partita dell’educazione delle nuove generazioni, se contemporaneamente non investiamo nella formazione continua degli adulti, a partire da chi gestisce la scuola come bene comune.

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